martedì 31 maggio 2011

Mai dire borsa se non ce l'hai nel sacco

 
Dichiarata, longeva e usuaria fedele delle Freitag dichiaro apertamente il mio amore verso tutto ciò che è materialmente inusuale per cucire abiti e loro fratelli adottivi, siano borse, zoccoli o cerchietti. 
Sacchetti eco-decomponibili, fibre di latte, paglia campesina, teloni-proprio-quelli-dei-camion. Non importa, basta che non sia semplice cotone. Tutto ciò che al tatto non è abitudine attira i miei polpastrelli, tocco, accartoccio, sfioro, stropiccio. Più è lontano da ciò che le mie mani sono abituate a toccare, più è lontano da ciò che la mia pelle è abituata ad indossare, più l'energia attrattiva cresce.
Non farò discorsi banali sulla borsa-la-migliore-amica-di-una-donna. Ma lo è. Parliamo di borse oggi. Parliamo di idee nuove frizzanti profumate giovani rare, parliamo di nuove visioni e idee stuzzicanti. Se è vero che sperimentare è il credo contemporaneo suvvia mescoliamo accartocciamo confrontiamo.


La prima idea viene dalla bag designer Ilvy Jacobs. Le Paper Bag.
A voi l'ammirazione, prego.








Seconda idea le Otaat Bags, prodotte in edizione limitata dall’omonimo marchio losangelino, in semplice tela sì un po' anonime direte voi, certo, ma se le vedi al primo sguardo borse non sembrano, o forse si, quella della spesa dal fruttivendolo però. E poi piega qui e piega là, tracolla dentro manica fuori, scopri che invece della frutta te la porti in giro il sabato sera. Pratiche comode non impegnative multi-tasking e multi-faccing.









venerdì 27 maggio 2011

Joe Fenton. noi umani non.






Joe Fenton è un disegnatore. più che un disegnatore. basta guardare l'ultima sua opera solitude 2010/2011 per capire che c'è qualcosa che noi umani. non. i suoi disegni non vanno guardati. ma respirati annusati pensati percepiti con quel senso che l'uomo non sa ancora di avere. sesto settimo ottavo. è qualcosa che va oltre l'arte. è qualcosa che va oltre la vita. la vita si fa disegno il disegno si fa vita motivo di vita vivente vissuto. c'è qualcosa che va oltre. oltre. prima e dopo. è un disegno che sconfina e scavalca. difficile definirlo anche solo disegno. 
concedetevi un minuto, pensate questi disegni.


http://joefentonart.com/

http://www.behance.net/gallery/Solitude-20102011-A-work-in-progress/954142



 
Jarabe de Palo y Alejandro Sanz
La quiero a morir

http://www.youtube.com/watch?v=Ht_sdb16LLQ


conoce bien cada guerra.

mercoledì 25 maggio 2011

Stasera a teatro. Compagnia Teatrale La Pajeta.



Sono bravi. Molto bravi. Sono amici, anche. Passione, amicizia, condivisione di battute e caffè. Teatranti sono teatranti. Attori sono attori. Ragazzi sono ragazzi. Scrittori anche, dei loro stessi copioni. La compagnia La Pajeta nasce così. Nella bella Verona, usciti da un Liceo Maffei dove il corso di teatro frequentato negli anni era ancora troppo vivo per essere solo che un ricordo, ne parlano, si incontrano come era oramai abitudine, una birra, una parola, due parole, un discorso, una realtà. Cominciano a inventare, poi a scrivere. Una sedia qui una parrucca là ed ecco che nasce il primo spettacolo. C'è stoffa, si vede. Ci si lavora su, si chiede l'aiuto del vecchio amico maestro Andrea per stendere la prossima sceneggiatura, il fratello in cassa agli spettacoli, la mamma il supporto sempre presente, un amico alle luci, un altro all'audio, gli altri tutti presenti alle prime. E anche alle seconde. Pure i professori di un tempo. Le risate sono molte, moltissime. Sono bravi, sì lo sono davvero. C'è chi studia in città, chi fuori città, chi lavora già, chi in Italia torna per questo. Il tempo per le prove continuano a trovarlo, e gli spettacoli si susseguono. Uno, due, tre, quattro. Il gruppo si ingrandisce, non è solo una passione. Un vero impegno, un vero progetto. Li incontrate in antichi cortili, in teatri di città e di provincia. Si impegnano per farsi conoscere, si impegnano per migliorare sempre. L'ultima fatica s'intitola Hotel-ma. E ci stanno riuscendo. Una realtà lo sono oramai, e non hanno intenzione si smettere.

Teneteli d'occhio questi ragazzi. Tra una parrucca, un velo di cipria, un vestito del cassone della nonna non c'è solo passione, c'è l'essenza del recitare. Creare, divertirsi, gocce di sudore, acuti parole e inchini. Teneteli d'occhio questi ragazzi.




 
Compagnia Teatrale La Pajeta

Matteo Corcioni, Marco Catapano, Pietro Righi, Pietro Giovanni Trincanato, Chiara Bonaconsa, Margherita Palumbo, Valentina Zanferrari, Beatrice Oppici, Francesco Oppici, Giulia Bovi, Giovanni Tomelleri.


Un grazie doveroso anche a Alvise, Francesco e Tommaso.








chi vorreste essere da grandi?



donne forti. donne intelligenti. piu di chiunque altro. cambiare il mondo, era il loro sogno? forse no. ma sono la nostra storia. ora. un secolo vi sembra molto tempo? chiedete a loro. cosa hanno visto i loro occhi. quali pensieri nelle loro menti. un pensiero piu veloce di uno sguardo. uno sguardo piu veloce del tempo. chi vorreste essere da grandi?



venerdì 20 maggio 2011

Il mio miglior sorriso per voi.









Accion for happiness.


Action for happiness è l’associazione co-fondata da Richard Layard, professore di economia alla London School e di cui fa parte anche il Dalai Lama. Lo scopo? Combattere l’epidemia della tristezza. Come? Attraverso semplici gesti quotidiani: spegnere per qualche ora il cellulare, essere disponibili nei confronti degli altri e fare un po’ di beneficenza. L’associazione, in costante crescita, conta più di 10mila adepti in 68 paesi del mondo. Forse non è un caso. Meno di un anno fa, per esempio, il presidente della Federal Reserve ha tenuto un discorso sull’economia della felicità. E il Bhutan ha sostituito il calcolo del prodotto interno lordo con l’indice di felicità nazionale lorda.


Sembra un centro di incontro per esseri infelici sulla linea di un centro per alcolisti-anonimi riuscito male. Ma mi piace. La felicità è un modo di vedere, sarebbe bello riuscire a guardare tutto con felicità e non cercare un modo per poterla vedere mi disse tempo fa un amico che sempre mi fa tornare il sorriso. Forse non bisognerà cercare la felicità ma la forza per poter riuscire a vederla. Ad ogni modo che ci sia qualcuno che ci ricorda che possiamo vederla è piacevole. La positività non è mai un male. E qualcuno che ci ricordi dove poter iniziare a cercarla è anche meglio. Ho preso il consiglio e ci ho provato anch'io. Ho spento il telefono per qualche ora, mi sono regalata un gelato e una passeggiata, un bacio dal sole e la brezza tra i capelli, ho annusato il vento che sapeva di pioggia in arrivo, ho regalato alcuni sorrisi un abbraccio e qualche battuta. Oggi è un giorno simbolo, non bisognerebbe riempirsi la vita di simboli, regole e abitudini, ma oggi qualcosa finisce e qualcos'altro inizia e se ora ancora non si vede qualcosa più in la si vedrà. È bene ricordare questo giorno con la cornice giusta. E un sorriso. Le profondità sono dietro quella tenda, ma oggi è tempo di semplicità. Il mio miglior sorriso per voi.


mercoledì 18 maggio 2011

Cina. La vita degli artisti è più fragile delle loro opere.





Il giorno in cui è stato arrestato con l'accusa di evasione fiscale, Ai Weiwei si stava imbarcando per Hong Kong. Nelle stesse ore, stesso aeroporto, i rappresentanti delle istituzioni politiche e culturali tedesche tornavano a casa dopo aver inaugurato la mostra sull'Illuminismo al Museo nazionale della Cina. Sono passati 43 giorni dall'arresto, e del grande artista e architetto cinese nessuna notizia. «Crimini economici» continua a essere la motivazione ufficiale del Governo.
«Sappiamo che Ai è in carcere per la sua attività politica», racconta via mail lo scrittore Yu Hua, autore dei bestseller internazionali Brothers e Arricchirsi è glorioso, che, come Ai Weiwei, continua a vivere in Cina nonostante le minacce. «Gli artisti spesso vendono privatamente le loro opere – scrive – rischiando di avere problemi con il fisco. Può darsi che il Governo abbia usato questo pretesto per arrestarlo». La stretta di Pechino contro la libertà d'espressione non spaventa Yu: «Continuo a scrivere quello che voglio e a criticare alcune posizioni del Governo.
La Cina si trova in una fase di stravolgimenti e uno scrittore ha il dovere di raccontarli con un approccio critico». Anche Yu potrebbe finire nella lista nera degli intellettuali perseguitati dal governo. Tra i tanti ricordiamo: Liu Xiaobo, vincitore del Nobel per la pace, in prigione dal 2010 per «incitamento alla sovversione»; Ye Du, esponente dell'associazione Pen International, arrestato con la stessa motivazione a febbraio; lo scrittore Liao Yiwu, a cui recentemente è stato negato il visto per partecipare a festival di letteratura all'estero; l'attivista Liu Xianbin condannato a dieci anni di carcere per articoli critici con il Partito. «La vita degli artisti è più fragile delle loro opere» ha scritto sul quotidiano britannico «The Guardian» lo scrittore Salman Rushdie, chiedendo il rilascio immediato di Ai Weiwei. Ciò che impressiona studiando le vite dei dissidenti è la consapevolezza che hanno della loro fragilità.
Nel 2009, pochi giorni prima che il Governo lo censurasse, Ai Weiwei diceva sul suo blog: «Cosa possono fare più di mettermi al bando, rapirmi o imprigionarmi? Potrebbero forse costruire la mia sparizione nell'aria, ma non hanno creatività o immaginazione». Oggi che la Mit Press ha riunito in un libro, Ai Weiwei's blog, gli scritti prodotti dall'artista tra il 2006 e il 2009, è più facile ricostruire la storia di resistenza dell'artista, il cui nome, in Cina, è una parola vietata su internet. «Non venite a cercarmi ancora. Non voglio collaborare. Se lo farete portate con voi i vostri strumenti di tortura», scrive il 28 maggio 2009, rivolgendosi alla polizia che, poche settimane prima, gli aveva procurato un trauma cranico.
Il motivo? Insieme all'ambientalista Tang Zuoren, Ai stava portando avanti un'indagine sulle cause del crollo delle scuole che ha provocato la morte di 5mila studenti durante il terremoto nel Sichuan del 2008. È la stessa polizia che ha distrutto il suo studio di Shangai e lo ha fermato in aeroporto temendo che ritirasse il premio Nobel al posto di Liu Xiaobo. Come Liu, anche Ai è firmatario della «Charta 08», il manifesto sottoscritto da 303 intellettuali per chiedere riforme democratiche nel Paese.
Secondo Yu Hua sarebbe tuttavia un errore pensare alla presenza di un movimento intellettuale in Cina: «Le associazioni di scrittori attive sono organi di Stato gestiti con fondi dispensati dal Governo. Esistono anche organizzazioni spontanee ma non hanno risonanza: al momento non vedo la cultura come un motore di progresso per il Paese». Lo scrittore è convinto che America ed Europa continuano a guardare la Cina con occhi occidentali. Mentre – da Berlino a New York – si moltiplicano gli appelli di artisti e intellettuali (Anish Kapoor, Luc Tuymans, Salman Rushdie, Umberto Eco) e le manifestazioni di piazza al grido di «Free Ai Weiwei», a Pechino, l'attenzione per l'artista rischia di aumentare la distanza tra l'opinione pubblica occidentale e quella cinese, che vede nelle proteste degli intellettuali d'Europa una prova delle colpe di Ai Weiwei.
Xinran, autrice del libro Le figlie perdute della Cina (in uscita in Italia per Longanesi) e fondatrice dell'organizzazione The Mothers' Bridge of Love, chiarisce un altro equivoco: «Il dibattito sulla libertà di espressione in Cina va avanti da secoli: inizia quando l'imperatore Qin Shi Huang nel 200 a.c. ordina di seppellire vivi 460 studiosi, passa dai due milioni di cinesi scomparsi durante la Rivoluzione culturale e arriva ad Ai Wewei». Alla scrittrice non mancano parole di speranza: «Gli Stati più sviluppati d'Occidente hanno impiegato secoli per arrivare alla democrazia, è impossibile pretendere dalla Cina di raggiungere standard internazionali in 30 anni».
 
Serena Danna

 
 
 
 

martedì 17 maggio 2011


Stella McCartney’s Spring Botanical Collection for 2011


La primavera è ufficialmente arrivata. Io vado al giardino botanico di Madrid, la McCartney coltiva fiori e piante sui suoi vestiti. Violette e rose che merletti che ricami che stupore per gli uccelli. Si respira aria libera si starnutisce si scoprono braccia e caviglie si guarda il sole negli occhi. Gli umori cambiano come le nuvole che ci passano veloci sopre le teste, sole che va sole che viene apre le porte all'estate che gia sta bussando. Tempo di valigie per ritorni e partenze per spiaggie tropicali o meno tropicali che si voglia sabbia e sale a invadere i corpi. Tempo di passeggiate e corse. La sera si respira proprio bene. Sarà il profumo dei fiori.



lunedì 16 maggio 2011

Lo ricama con un filo rosso.



Ascoltare, dovere:



 Tutti lì: a tirar pietre nell'acqua e ad ascoltare quell'uomo uscito dalla settima stanza. Piano piano, parlava.
- Dovete immaginarvi due che si amano.. che si amano. E lui deve partire. Fa il marinaio. Parte per un lungo viaggio, in mare. Allora lei ricama con le sue mani un fazzoletto di seta.. ci ricama sopra il suo nome.
- June.
- June. Lo ricama con un filo rosso. E pensa: lui lo porterà sempre con sé, e questo lo difenderà dai pericoli, dalla tempesta, dalle malattie..
- Dai pesci grandi.
- .. dai pesci grandi..
- Dai pescibanana.
- .. da tutto. Ne è convinta. Però non glielo dà subito, no. Prima lo porta nella chiesa del suo villaggio e al prete dice: me lo dovete benedire. Deve proteggere il mio amore, e voi lo dovete benedire. Così il prete lo posa lì, davanti a sé, si china un po' e con un dito ci disegna sopra una croce. Dice una frase in una lingua strana, e con un dito ci disegna sopra una croce. Riuscite a immaginarlo? Un gesto piccolissimo. Il fazzoletto, quel dito, la frase del prete, gli occhi di lei, che sorridono. Ce l'avete in mente?


Alessandro Baricco, OceanoMare



sabato 14 maggio 2011

DIARIO DI VIAGGIO. Tenerife.


Un respiro. Un ricordo già. Tempo sospeso che già si sfuma nei suoi contorni. Una parentesi una pausa un viaggio nel tempo. Una ragazza che vuole essere una spagnola, una francese che vuole essere un'italiana, un baskettaro che vuole diventare dottore, un filosofo che avrebbe bisogno di un dottore, una maestra di nuoto in piscina che cerca il mare. C'è l'adrenalina c'è la vodka c'è il sonno arretrato c'è lo spirito organizzativo c'è il silenzio c'è il vento. Ci sono granelli di sabbia nera onde oceaniche che si scagliano sulla costa enormi e potenti ci sono macchine affittate ci sono colonne sonore improvvisate ci sono salite e discese sorrisi e discussioni ci sono birrette molte e molte vele sulla spiaggia che attendono il giusto vento e l'onda perfetta. C'è sabbia tra i capelli sabbia nei costumi sabbia tra le dita. Non ci sono scarpe. Molti pensieri ma che volano via leggeri. Non è tempo di pensare. C'è il giovine che domande non si fa c'è una strada che inizia e dove ti porta chi lo sa c'è una strada che scorre con molti ciottoli che distraggono il cammino ma l'importante è camminare c'è una strada sospesa c'è chi scappa dalla strada. Persone cordiali con un sorriso e un bocadillo di pollo machado sempre pronto. Ci sono persone semplici che inseguono l'onda e persone forti che ti invadono e trascinano. Ci sono valigie dimenticate paste all'italiana e palme piegate dal vento. C'è chi dorme sull'erba chi in macchina chi sulla spiaggia chi non dorme e chi guarda i tatuaggi. Succhi di frutta e lenzuola troppo fine, libri importanti e una famiglia posteggiata li come se fosse una famiglia quando non lo è stata e mai lo sarà, ognuno ha il suo ruolo, ognuno ha la sua forza. Ci sono simpatici baristi che cantano il vecchio Marley, giocolieri con capelli troppo lunghi, parchi giochi per adulti al mare, e poliziotti che non fanno multe. Concerti in piazza, molte tavole da surf ad ogni angolo, scarpe lasciate in macchina.
Profumo di sale profumo di oceano profumo di mente profumo di pensieri che non ci sono profumo di storie mai vissute profumo di fantasmi e ricordi. Profumo di complicità non richiesta profumo di assemblaggi con lo scotch profumo di magliette con una storia da raccontare. Se i nostri occhi potessero vedere nella testa se le nostre orecchie potessero ascoltare l'odore del mare.
Questo è il mio meglio, posso ricordare momenti non posso raccontare una storia. È stato bello perché sospeso. Date voi il vostro senso a queste immagini e farete voi il vostro viaggio nelle terre d'oceano.





 

mercoledì 11 maggio 2011

100 anni di guerre (viste da una cucina).



I morti a causa di una guerra, nel secolo scorso, sarebbero 162 milioni.
Numeri: senza un volto, una storia, un corpo freddo da immaginare. E quando la vita stessa (o la sua fine) diventa una cifra pian piano le emozioni che l’accompagnano si raffreddano nel surgelatore della razionalità e non rimane altro che un gelido susseguirsi di somme da sbattere nell’ennesimo articolo di giornale o in un grafico interattivo sul web.
Clara Kayser-Bril, Nicolas Kayser-Bril e Marion Kotlarski, rispettivamente project director in una società di consulenza ed ingegneria, datajournalist e fotografa, sono invece riuscire attraverso una macabra opera d’arte a metà tra l’installazione e l’infografica, a ridare corpo (e soprattutto sangue) a 38 di quei 162 milioni di morti, con una tavola piena di barattoli, bicchieri, brocche e pentolini pieni di sangue, riempiti in base al numero di caduti in 25 conflitti (o giù di lì) degli ultimi 100 anni.
In 100 years of worl cuisine,  se l’attacco alle due torri è un piccolo pentolino, l’olocausto è una grossa e traboccante teglia; se per afghanistan, cecenia e guerra alla droga in messico bastano dei portaspezie e l’ultima guerra in Iraq non arriva a metà di un bicchierone da cocktail, per le guerre civili africane, i conflitti nel sud-est asiatico e l’epica battaglia di Stalingrado servono dei grossi barattoli come quelli che usi per fare le olive in salamoia.
Un’opera provocatoria che però riesce a dare un’idea di quanto sanguinoso sia stato il XX secolo, quello in cui tutti noi siamo nati.
E speriamo davvero di non finire nel prossimo barattolo.

Il fantasma del male.

Ora che Bin Laden è morto, il mondo sarà migliore o peggiore? In entrambi i casi, lo sarà indipendentemente da Osama, anche se nessuno potrà cancellare la tragedia delle Torri gemelle.
Il mondo prima non era diverso: buono o cattivo, non era stato Osama Bin Laden a determinarne la qualità. Quando l'effetto mediatico, la voglia di sapere, la sete di vendetta o di giustizia si saranno placate, si capirà che le cose stanno così.
Dall'apparire sulla scena internazionale del terrorismo col suo brand, alla fine ad Abbottabad, i mercati mondiali hanno spesso mostrato ansietà, mai panico. Il caos scoppierebbe se Vladimir Putin tornasse a fare il presidente della Russia imponendo una nuova forma di socialismo nazionalista, bloccando i gasdotti e stracciando gli accordi sulla riduzione delle armi nucleari strategiche. Se in Arabia Saudita protestasse un decimo dei manifestanti scesi in piazza al Cairo, il barile di greggio schizzerebbe a 300 dollari e nello spazio di una notte saremmo costretti a chiederci se esista una vita oltre il petrolio.
Osama Bin Laden non è così importante perché non è mai stato un soggetto geo-strategico e ancor meno economico, con la forza di cambiare il mondo. I suoi attentati sono stati orribili, solo una potenza militare e industriale come il Giappone del 1940 era stata capace di colpire l'America sul suo territorio. Il terrorismo che ha scatenato però minacciava la vita di ciascuno di noi, non il nostro modo di vivere. Anche se i suoi seguaci si vendicheranno, per quanto violente, le loro azioni terroristiche non cambieranno il mondo.
È inaccettabile rischiare di morire scendendo in metropolitana; alcune pesanti misure di sicurezza hanno reso gli aeroporti luoghi meno accoglienti e le nostre polizie meno tolleranti. Ma Bin Laden e il suo progetto di ripristinare un califfato medievale non sono mai stati così potenti da mettere in pericolo il nostro sistema. Nemmeno quelli illiberali dei regimi arabi che lui denunciava come blasfemi.
Quando George Bush metteva al-Qaida sullo stesso piano del nazismo faceva solo propaganda e mancava di rispetto ai milioni di europei e di americani che avevano lottato contro il vero Grande Male della Storia. L'11 Settembre sarà sempre una data tragica ma non diventerà mai lo spartiacque da un evo all'altro. Certo, dieci anni fa gli Stati Uniti erano «la nazione indispensabile», l'unica grande potenza globale. Oggi non lo sono più in modo così esclusivo e sembra che Barack Obama ne sia felice. Osama Bin Laden ha solo accelerato – eventualmente – questa tendenza che si sarebbe sviluppata comunque: Cina, India, Brasile, Turchia sarebbero cresciute anche se l'America non fosse stata impegnata nella guerra al terrore. Se in questo decennio gli Stati Uniti hanno perso credibilità e consenso fra molti sostenitori di un tempo, forse dipende più dal monumentale debito pubblico accumulato dall'ex presidente che dal pericolo di al-Qaida. E dipende più dai comportamenti dell'amministrazione Bush alle azioni di Bin Laden che dallo stesso Bin Laden. Oggi scopriamo che dagli interrogatori di Guantanamo è partita la pista per arrivare alla villa di Abbotabad. Ma questo non scalfisce l'immoralità di quel lager che ha umiliato le tradizioni della giustizia e delle libertà americane.
Durante la campagna elettorale del 2004 che avrebbe perduto, il democratico John Kerry sosteneva che presto o tardi l'America avrebbe dovuto convivere con la minaccia del terrore di matrice islamica. Come con la droga e la prostituzione, disse: minacce che richiedevano lo sforzo della polizia e dei giudici ma che non imponevano agli americani di cambiare il loro modo di vivere. Quella al terrore era e rimane una guerra anomala che non saremo mai certi di aver vinto. Ma adesso che Bin Laden non c'è più l'invito di Kerry a liberarci del fantasma è quanto mai attuale: possiamo continuare a vivere le nostre vite come prima. Forse anche meglio di prima.

Ugo Tramballi





cinismo critico?
amici, per come la vedo io è un bel punto di vista, da condividere o meno, non è ciò che conta, se ci può far pensare. pensare a cosa? al sistema capitalistico in cui viviamo che esclude problematiche sociali se non influenzano il mondo con i propri mercati, alle inutili guerre al terrore, a fantasmi del male che per ora sembrano scomparsi, ma saremo bravissimi a costruirne altri, a un mondo che cambia solo rispetto ai mercati. cinismo? forse, ma qualcosa di verò pur ci sarà.

lunedì 9 maggio 2011

Chi non crede va in chiesa.

 
Sono sempre andata in chiesa non credo nell'istituzione ma ci sono sempre andata. Con i miei motivi e i miei tempi. Mi affascina. La cerco. Ci vado. È stato e continua a essere un luogo di riflessione, di silenzio. Di pausa dal mondo. Era un segreto, fino ad ora. Un luogo sicuro sì, un luogo di silenzio. Ti perdi nelle immensità delle navate e in quelle colonne che mirano al cielo, anche nelle piu piccole cripte divieni nessuno. Che sia poi la stessa sensazione del vero credente non so. Santa Anastasia in Verona con quel simpatico culo di cavallo del Pisanello rimane il mio rifugio preferito.

Madrid. Cattedrale. Almudena. Nove maggio. Festa della Vergine scopro poi. Nei miei molteplici vagabondaggi tardopomeridiani cerco silenzio, mi infilo nell'Almudena, ottima scelta direte voi con quei quattrocentosessantadue turisti al minuto di media, già. Entro comunque. Mi siedo brulichio di fondo non spicca per bellezza, anzi ma l'alzare lo sguardo ti da la vertigine. Bella sensazione. Comincia una messa, è maggio e nonostante la mia pesante ignoranza mi ricordo del rosario. Mi avvicino mi siedo. S'infittisce, rimango. Signore ingioiellate bambini vestiti a festa borse e talleres di carolina herrera chiacchiere e schiocchi su guance tutti si baciano con tutti più che una messa sembra un bar. Si respira un'aria misto di ipocrisia estetica e tradizione. Medaglie al collo dal nastro azzurro blu per tutti. Las Reales Esclavitud de la Virgen de la Almudena scoprirò, messa privata? Le chiavi del custode agitato dettano il ritmo della sua camminata melodie registrate un signore dalla voce baritona  scandisce i canti che della liturgia hanno ben poco ma sembrano più armonie anni cinquanta il parroco  scherza sull'altezza dei microfoni le prediche non esistono ma solo semplici consigli per i fedeli una messa che sembra una chiacchierata di fronte a una birra. Gente strana questi spagnoli. Si donano fiori perché la primavera è un dono di nostro signore. Virgen doname un corazon limpio como el agua de una fuente. Baci risate applausi tra allegre melodie. È primavera e si sente anche in cattedrale. Mi piace. Non credo ma vado in chiesa e mi lascio trascinare. Ipocrisia? no. Buona azione per la nonna che mi chiede sempre se vado a messa? Ci penso. Esercizio di lingua? Probabile. Analisi antropologiche? Molto molto probabile. Sono le otto esco è primavera e si respira a boccate voraci, capisco.  

Bisogna allontanarsi dalla propria strada per riuscire a vederla a fondo


Profumo di sole.

 Sole in controluce
occhi socchiusi
vedi solo ombre
passi veloci
labirinto di facce e scarpe firmate
cammini
fra mille
sola
spallata
fronte aggrucciata
cammini veloce
cammini leggero
profumo di sole
odore di respiri
scompari in quel fiume di vite
sei la sola che percorri quella strada.

E tutto il mondo fuori.




martedì 3 maggio 2011

Strada che corre e scorre e soccorre.

 

Preghiera per uno che si è perso, e dunque, a dirla tutta, preghiera per me.

Signore Buon Dio
abbiate pazienza
son di nuovo io.

Dunque, qui le cose
vanno bene,
chi più chi meno,
ci si arrangia,
in pratica,
si trova poi sempre il modo
il modo di cavarsela,
voi mi capite,
insomma, il problema non è questo.
Il problema sarebbe un altro,
se avete la pazienza d ascoltare
di ascoltarmi
di.
il problema è questa strada
bella strada
questa strada che corre
e scorre
e soccorre
ma non corre dritta
come potrebbe
e nemmeno storta
come saprebbe
no.
Curiosamente,
si disfa.
Credetemi
(per una volta voi credete a me)
si disfa.
Dovendo riassumere dovendo,
se ne va
un po' di qua
e un po' di là
presa
da improvvisa
libertà.
Chissà.

Adesso, non per sminuire, ma dovrei spiegarvi questa cosa, che è cosa da uomini, non è cosa da Dio, di quando la strada che si ha davanti si disfa, si perde, si sgrana, si eclissa, non so se avete presente, è una cosa da uomini, in generale, perdersi. Non è roba da Voi. Bisogna che abbiate pazienza e mi lasciate spiegare. Faccenda di un attimo. Innanzitutto non dovete farvi fuorviare dal fatto che, tecnicamente parlando, non si può negarlo, questa strada che corre scorre soccorre, sotto le ruote di questa carrozza, effettivamente, volendo attenersi ai fatti, non si disfa affatto. Tecnicamente parlando. Continua diritta, senza esitazioni, neanche un timido bivio, niente. Diritta come un fuso. Lo vedo da me. Ma il problema, lasciatevelo dire, non sta qui. Non è di questa strada, fatta di terra e polvere e sassi, che stiamo parlando. La strada in questione è un'altra. E corre non fuori, ma dentro. Qui dentro. Non so se avete presente: la mia strada. Ne hanno tutti una, lo saprete anche voi, che, tra l'altro, non siete estraneo al progetto di questa macchina che siamo, tutti quanti, ognuno a modo suo. Una strada dentro, ce l'hanno tutti, cosa che facilita, per lo più, l'incombenza di questo viaggio nostro, e solo raramente, la complica. Adesso è uno di quei momenti che la complica. Volendo riassumere volendo, è quella strada, quella dentro, che si disfa, si è disfatta, benedetta, non c'è più. Succede. Credetemi. E non è una cosa piacevole. No.


Alessandro Baricco, OceanoMare



lunedì 2 maggio 2011

Salvato. dal nero.


C'era una volta un uomo. Un uomo che ogni giorno prendeva quella macchina, ogni giorno si sedeva a quella scrivania, ogni giorno tornava al calar del sole. Molte facce passavano di fronte ai suo occhi ma ancor di più moltissime storie. Al tramonto sua moglie lo aspettava. Da 36 anni. Un bacio sulla guancia, una tovaglia a righe, fiori del giardino. Le storie, le facce di colpo sparivano. Il diverso, il mondo.

Avevano un cane. Di nome faceva mattina. Il secondo, cane, lo chiamarono pomeriggio. E una gatta, notte.
C'era una volta una fanciulla che tutti in paese chiamavano ipocrisia. Che talvolta bussava alla porta dell'uomo, portava fiori e una fetta di torta. Alle volte passava il postino che lasciava lettere per quell'uomo, si chiamava va tutto bene. Il barbiere di fiducia giorno dopo giorno.

La domenica curava il suo orto, il sabato i suoceri e la partita. Orario o antiorario non cambia. Il tempo scorreva come lacrime sul viso. Ma lacrime non vi erano. Non vi furono. Non vi sarebbero state.

Era autunno, il sole calava all'orizzonte ma appariva già pallido. La fanciulla bussò alla porta come molti altri pomeriggi, che non erano cani, e salvò quell'uomo. Lo salvò per tutti quegli anni. E avrebbe continuato a farlo.

Dal conoscere il nero.

E sul viso dell'uomo un sorriso pallido continuò a tornare.