“Pensi a lei?” gli domandò Stella spegnendo la sigaretta.
“Sì”.
Guardava Stella come si guarda un oggetto. Un bell’oggetto. Stella era una bella puttana. Il suo corpo madido brillava. Non era ancora stata consumata dagli uomini, dall’alcool e dalla droga. Gli aveva detto di avere vent’anni.
Adesso sentiva distintamente i rumori della città. Irrompevano dalla finestra aperta della camera. Colpi di clacson. Stridori di freni. Sirene della polizia. Voci. Batter d’ali di piccioni, a volte. Lo stesso rumore, in tutti i porti del mondo, che ti invade dopo esser stato a letto con una sconosciuta che non rivedrai mai più. Il rumore della nostalgia A ricordarti che non sei di lì, che sei uno straniero di passaggio.
Un marinaio perduto.
Stella si era girata verso di lui.
“Pensare non serve a niente” disse. “Siamo qui e il resto del mondo non esiste. Non credi?”
“Tu ci credi?”
“Dimenticare” gli aveva detto, “non credo sia necessario nella vita. Non credo si possa del resto”.
“Che consiglio mi dai, allora?”
“Non ho consigli da darti. Né destini da predire”.
“Allora ti pago per niente?”
“Se si paga non è mai per niente”.
Come con Stella.
Non aveva neppure aspettato che Stella si svegliasse. Forse non dormiva. Non importava. L’aveva pagata. L’aveva ascoltata. L’aveva scopata. Non le doveva niente. Nemmeno un arrivederci.
Si era rivestito in silenzio. Aveva guadato un’ultima volta il suo corpo. come si guarda un morto prima di chiudere la bara. Così. Chiudeva il coperchio sulla sua vita passata. Lasciava accanto a Stella, nelle pieghe delle lenzuola ancora umide del suo sudore, la sua vecchia pelle, il suo cadavere.
Adesso poteva succedergli di tutto, non aveva più nessuna importanza. Scese per cours Julien fino alla Caneibière. “Non bisogna disperare” gli aveva detto Diouf. “L’avvenire è un mondo che contiene tutto”.
Poi, l’essenziale è cavarsela senza danni.
Jean-Claude Izzo, Marinai Perduti
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