sabato 10 dicembre 2011

Perché gli uomini (a cominciare da Woody Allen) adorano le kamikaze

di Anna Maria Speroni

Corriere della Sera.it
1 Dicembre 2011


C'erano quelli che non capivano la domanda: «Se ho mai avuto fidanzate kamikaze? Ma che cosa intendi?». «Quelle nevrotiche, problematiche, autolesioniste ». «Le rompiballe?». «Ma no...». Erano i più numerosi, anime semplici che per definire le donne prevedono solo due voci a scelta da barrare con la x: rompib... oppure no. Poi il gruppo dalla risposta pronta: «Ma certo, mia moglie!»: inaffidabili - maschi certamente incapaci di distinguere tra una che cerca solo di far funzionare come può il ménage familiare e una vera kamikaze. E poi loro, la pattuglia sparuta dei crocerossini innamorati (finalmente utili per questo articolo), quelli che hanno incontrato il tipo femminile così definito da Woody Allen in un’intervista pubblicata su Io donna qualche settimana fa: «Le donne kamikaze, con cui ho perso troppo tempo. Si suicidano con l’aeroplano ma tu sei seduto lì con loro, colpito dalle fiamme come spettatore innocente».

È più frequente che siano gli uomini a distruggere noi. Ma la frase di Woody ci ha spinto a indagare che cosa succede quando i ruoli si invertono. E ce ne sono, di maschi abbinati a signore complicate, circondati da amici che avvertono: «Lasciala». «Consiglio inutile» dice Piero Lissoni, designer e architetto. «Quante volte cuore e testa ci dicono fermati, ma noi andiamo avanti? ». Ecco, quante? «Io, poche: meno delle dita di una mano. Una mi ha stecchito la prima sera con sette Martini. Donne eccessive, dai toni esagerati, caratterizzate dal “troppo”: troppo programmate, o troppo dedite al lavoro, o agli affari, o alla famiglia: qualunque fosse la passione, era ossessione. E così, fine della storia».

Ma prima della parola fine possono passare anni: quattro per Claudio (che ha chiesto come altri, per ovvie ragioni, l’anonimato), insieme a una «che scaricava su di me le colpe dell’ex marito. Insoddisfatta della vita, mi attribuiva la responsabilità dei suoi fallimenti. Una che cambiava idea di continuo, mai contenta del proprio corpo, schiava delle figlie ultraventenni: una volta siamo dovuti tornare dall’Umbria a Milano perché erano rimaste chiuse fuori casa. Oppure mi chiamava solo perché andassi io a fare la spesa. E sul mio letto, a casa sua, ci dormiva il cane». Dodici anni di matrimonio per Alessandro: «Durante i quali lei ha lasciato il suo lavoro in banca per iscriversi all’università e laurearsi in Scienze motorie; per poi ripensare di nuovo il futuro e aprire un negozio di abbigliamento: sempre con il mio supporto anche economico, sempre scontenta. Io non ero mai all’altezza: mai abbastanza colto, mai abbastanza divertente». Assecondare la signora non ha evitato la separazione.

Luca, pittore e insegnante, si era fidanzato «con una splendida ragazza colpita all’improvviso da una crisi tremenda di anoressia. Abbiamo girato tra medici e psichiatri, fino a quando è tornata dalla madre. Io telefonavo e la mamma non mi diceva neanche se era viva o morta. Si rende conto che cosa significa non sapere più nulla per mesi di una persona cui vuoi bene?». Luca però ci è ricascato: «La complessità non è negativa, il problema è quando da complessa diventi complessata. Come la mia attuale fidanzata, possessiva, con crisi di gelosia morbose: se la cameriera al ristorante mi sorride, dice che ci sto provando; se una mia allieva mi saluta per strada, pensa che sia la mia amante; se siamo a fare shopping e compro una maglietta per mio figlio, si lamenta perché non penso mai a lei. Anzi, magari lo dicesse e basta: urla, picchia, anche in pubblico. Situazioni imbarazzanti». Lorenzo Licalzi, psicologo e scrittore, ha avuto accanto un’insicura patologica: «Qualunque parola dicessi, la interpreteva in modo negativo: “Allora non mi vuoi bene, non ti piaccio, non sono all’altezza”. Alcuni miei amici, invece, si sono lasciati conquistare da quelle che da te vogliono l’impossibile. Devi essere tutto e il contrario di tutto: tenebroso e solare, intellettuale e pratico, perché se si rompe qualcosa in casa devi saperla aggiustare. Devi aver preso contatto con la parte femminile che è in te, ma anche rimanere uomo vero. Per poi trovarsi cornuti e mazziati dal genere “minatore di Iglesias”, che non dice una parola e magari mena pure». Esperienze in grado di fare a pezzi anche il più solido dei maschi. Ma perché non la lasciano, se il rapporto è così disastroso? «Perché la amo» sintetizza Luca. «Perché mi intortava con le parole convincendomi che la nostra era una relazione perfetta» spiega Fabrizio, manager, appena uscito da una storia di dieci anni («Due di idillio e otto di delirio»).

Secondo Claudio Risé, psicoanalista, non se ne esce perché non è detto che lui si renda conto del problema. «Nell’uomo c’è una specie di resistenza ad analizzare la situazione psicologica propria e altrui. Rimuove le difficoltà, le nega. Perché in fondo vuole quella situazione. Una personalità femminile complicata suggerisce più livelli e sembra più interessante, come un paesaggio variegato sembra più bello di una pianura uniforme». Anzi, c’è chi non vuole altro. «Se non hanno turbe psichiche non le guardo neanche» scherza Gabriele Lavia, impegnato nelle prove di Tutto per bene di Luigi Pirandello («Uno che di donne folli se ne intendeva: sua moglie fu ricoverata in un ospedale psichiatrico»). «Sì, ho sempre avuto donne un po’ “strane”. Infelici, attratte dal dolore, in lotta con non sapevano neanche loro cosa. Più pazze erano, più le ho amate. Il perché non lo so. Loro dicevano che il pazzo ero io e forse avevano ragione». Almeno era felice? «L’amore e i rapporti erotici non sono mai felici: l’amore scoppia, mica scivola, e lo scoppio provoca sempre una ferita. E la ferita fa male. Detto ciò, queste donne secondo me fanno sesso meglio». E perché mai? «Perché sono disperate, e cercano la felicità. E la felicità fisica, in fondo, è l’unica cosa che valga la pena».

Secondo Lissoni a volte la donna autodistruttiva solletica «la tentazione dell’“io ti salverò”, del “ci penso io a farti vedere quanto è bella la vita. Con probabilità di successo vicine allo zero». Per Andrea Pinketts, giallista, l’attrazione per le kamikaze invece è congenita. «Da adolescente abitavo in un attico. Al quarto piano viveva una ragazzina dolce e bella, una specie di geisha. Al terzo la classica stronzetta carina che già a quell’età dava segni di disturbi mentali: ecco, io ero più attratto da questa. E anche adesso quando vedo nero, mistero, un lato oscuro, mi piace. Mi viene la sindrome, non dico del crocerossino ma almeno di doctor House (sono un po’ brusco): fino a quando capisci che ci vorrebbe un pugile. Nel mio ultimo libro, Depilando Pilar (Mondadori) ho metaforizzato il concetto: il protagonista si innamora di una donna barbuta felice di esserlo. Più oscura di così. Poi, certo, ci sono momenti di assoluta intensità in queste relazioni che giustificano tutto». Proprio tutto?

E se l’attrazione per le donne distruttive nascondesse in realtà una nevrosi tutta maschile? «Certo» risponde Risé «questi sono uomini che preferiscono la sofferenza più che il piacere. E la ricerca della sofferenza è la base della nevrosi». Ma qualche volta anche uomini positivi non resistono alla seduzione di una kamikaze: «Spesso sono donne intelligenti che ti sorprendono con risposte spiazzanti» spiega Riccardo Rossi, attore e autore teatrale. «Ma ho imparato come smascherarle. Al primo appuntamento le invito a casa e preparo un’amatriciana: se lei apprezza e chiede anche un bicchiere di vino, ha superato il test; se inizia a fare la schizzinosa ha buone probabilità di essere una kamikaze». Ma è proprio il pragmatico Rossi a spezzare una lancia a favore delle signore: «Con tutto quello di cui vi occupate, lavoro, famiglia, bambini, casa, magari anche i vostri genitori, siete eccezionali, altro che distruttive ». E allora forse ha ragione Lissoni, con il suo giudizio un po’ adulante, ma non privo di verità: «Non esistono donne nevrotiche: solo uomini che le fanno diventare così».




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