Il
Duomo di Verona oggi è pieno. Il solo rumore è il fruscio di mani
che abbracciano e accarezzano schiene. Ale è lì, e lo so che ci sta
guardando tutti. E magari vorrebbe che twittassimo qualcosa lì
all'istante, giusto per essere sempre sulla notizia, come piace a
lui. Non mancheremo, promesso. Qui arriva il mio, di saluto, perché
questo è il solo modo che conosco per farlo. E perché so che lui
può ascoltare e magari anche leggere, perché lassù l'iPhone 5 ce
l'avranno di sicuro, hai voglia. Oggi in Duomo ci sono sguardi che
mirano all'infinito dietro occhiali scuri, ci sono cuori raggrinziti
che fanno fatica a battere, ci sono polmoni che non riescono quasi
più a respirare. Il destino si è preso un nostro amico ed io mi
reggo a fatica su queste ginocchia che hanno finto di ballare i
giorni scorsi. Il Duomo oggi è pieno. Di storie. Ci sono le storie
di Edo, che con voce serena ci dice di star tranquilli, perché suo
fratello ha fatto un buon lavoro e gli ha insegnato a crescere
affrontando doveri e dispiaceri. Ci sono storie di amicizia, di
quella vera, storie di professionalità e storie di amori finiti.
Oggi in Duomo mi sento sospesa, come in una bolla dove non esistono
né tempo né pensieri, ma solo carezze e fruscii di mani. Le mie
lacrime di rabbia mi fanno respirare a fatica. Quando il destino ti
ride così in faccia io, Ale, come faccio a non arrabbiarmi?
“Sappi
che io non mi arrabbierò mai con te, perché arrabbiarsi fa male al
cuore” era questo che mi aveva detto in uno dei rari momenti
confidenziali. Rari perché Ale stava in silenzio e bofonchiava solo
per raccontarti della grande Hellas del giorno prima o criticare quel
cane del giornalista dell'Arena che scrive cazzate. Lui era uno di
quelli buoni davvero, mano sul fuoco. Di quelli che ti fanno vedere
solo la scorza della vita che li ha incisi, e non ti dicono che
dentro sono morbidi come la crema pasticcera di Flego, preferiscono
fartelo scoprire lavorando spalla spalla per ore e giorni. Forse
aveva ragione lui, non vale la pena arrabbiarsi, perché si potrebbe
perdere l'intensità di questa canzone dei suoi Sigur Ròs che mi
suona nella testa da quando ho ricevuto quella telefonata.
Esco
dal Duomo e alle lacrime si sostituisce una serenità che non mi
aspettavo. Una passeggiata sotto una pioggia leggera, affianco a
spalle che sono porto sicuro, si respira la prima aria d'autunno.
Oggi anche il cielo piange, ma poi il sole arriva, e scalderà, devi
solo avere pazienza di aspettarlo.
“Ale,
chiudi tu? Ricordati la luce in angolo per piacere, altrimenti Andre
me la mena”
“Non
preoccuparti, vai a casa e riposati”
“A
domani, Ale”
“A
domani, Agne”.
A
domani, Ale.
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