lunedì 1 ottobre 2012

A domani, Ale.



Il Duomo di Verona oggi è pieno. Il solo rumore è il fruscio di mani che abbracciano e accarezzano schiene. Ale è lì, e lo so che ci sta guardando tutti. E magari vorrebbe che twittassimo qualcosa lì all'istante, giusto per essere sempre sulla notizia, come piace a lui. Non mancheremo, promesso. Qui arriva il mio, di saluto, perché questo è il solo modo che conosco per farlo. E perché so che lui può ascoltare e magari anche leggere, perché lassù l'iPhone 5 ce l'avranno di sicuro, hai voglia. Oggi in Duomo ci sono sguardi che mirano all'infinito dietro occhiali scuri, ci sono cuori raggrinziti che fanno fatica a battere, ci sono polmoni che non riescono quasi più a respirare. Il destino si è preso un nostro amico ed io mi reggo a fatica su queste ginocchia che hanno finto di ballare i giorni scorsi. Il Duomo oggi è pieno. Di storie. Ci sono le storie di Edo, che con voce serena ci dice di star tranquilli, perché suo fratello ha fatto un buon lavoro e gli ha insegnato a crescere affrontando doveri e dispiaceri. Ci sono storie di amicizia, di quella vera, storie di professionalità e storie di amori finiti. Oggi in Duomo mi sento sospesa, come in una bolla dove non esistono né tempo né pensieri, ma solo carezze e fruscii di mani. Le mie lacrime di rabbia mi fanno respirare a fatica. Quando il destino ti ride così in faccia io, Ale, come faccio a non arrabbiarmi?
“Sappi che io non mi arrabbierò mai con te, perché arrabbiarsi fa male al cuore” era questo che mi aveva detto in uno dei rari momenti confidenziali. Rari perché Ale stava in silenzio e bofonchiava solo per raccontarti della grande Hellas del giorno prima o criticare quel cane del giornalista dell'Arena che scrive cazzate. Lui era uno di quelli buoni davvero, mano sul fuoco. Di quelli che ti fanno vedere solo la scorza della vita che li ha incisi, e non ti dicono che dentro sono morbidi come la crema pasticcera di Flego, preferiscono fartelo scoprire lavorando spalla spalla per ore e giorni. Forse aveva ragione lui, non vale la pena arrabbiarsi, perché si potrebbe perdere l'intensità di questa canzone dei suoi Sigur Ròs che mi suona nella testa da quando ho ricevuto quella telefonata.

Esco dal Duomo e alle lacrime si sostituisce una serenità che non mi aspettavo. Una passeggiata sotto una pioggia leggera, affianco a spalle che sono porto sicuro, si respira la prima aria d'autunno. Oggi anche il cielo piange, ma poi il sole arriva, e scalderà, devi solo avere pazienza di aspettarlo.

“Ale, chiudi tu? Ricordati la luce in angolo per piacere, altrimenti Andre me la mena”
“Non preoccuparti, vai a casa e riposati”
“A domani, Ale”
“A domani, Agne”.

A domani, Ale.  


Nessun commento:

Posta un commento