Ci sono cose che non si dovrebbero fare. Ci sono film che non si dovrebbero vedere in seconda serata mentre accarezzi i capelli della tua amica e mangi il cioccolato dell’uovo di Pasqua avanzato da sua figlia perché preferisce la frutta. Letter to Juliet non è proprio un film da premio Oscar ecco, ma c’è la tua Verona ripresa anche dagli occhi della tua amica che “gioca” a fare la filosofa-regista, c’è una bionda che nonostante Hollywood ha le bracciozze e scrive, almeno nel film, storie di persone e di incontri. Poi c’è il lui abbastanza biondo abbastanza banale e abbastanza antipatico per non avere un cavallo bianco, ma una Lancia, le vigne toscane e le regole dell’amore che non esistono. Ecco, abbastanza ovvio, ma c’è tutto. Crisi. L’ovvietà è però caricata dal quel potere di riuscire a toglierti per quell’ora e trentasette minuti dalla tua vita, inserendola bruscamente in anni passati, in ordine, nel futuro, nei sogni, nei pensieri sbagliati che non si dovrebbero fare mai.
E poi, ci sono i libri, e qui è tutta un’altra storia. Cioè, è la stessa, ma in scala di potenza dieci. Che si divorano in un lasso temporale che non ha lancette e ti tengono stretti a sé come la più morbosa delle relazioni. Perché ti scaraventano, e scaraventare qui è termine azzeccato, in una dimensione che non ha niente a che fare con il parallelo, ma, più precisamente, con uno specchio della vita che, guarda caso, è la tua. È una storia di ricomposizioni. Qualcosa che assomiglia al collage e poco a scrivere il tuo libro. Scrivere un libro o la storia della tua vita, se mai avessi la voglia o necessità di farlo, è qualcosa che ha che fare con il termine “difficilissimo” e “impresa titanica”. E allora in ogni libro che leggi trovi delle frasi che ti si rispecchiano dentro, le prendi, le citi e le tieni lì, dentro al tuo cuore, le leghi a tutte le altre e ricomponi i pezzi della tua vita. Ri-scrivere la tua vita attraverso le parole di altri è qualcosa che avviene, però, a tua insaputa. Perché, dicevamo, i libri hanno questo potere di scaraventarti in ambiente altro che non è il letto in cui leggi la domenica mattina, non è il sedile del treno che ti porta da un’anima all’altra, non è l’autobus che ti porta da un’istante quotidiano all’altro. Una sensazione che ti stordisce quando chiudi l’ultima pagina e torni ad ascoltare le tue lievi banalità che mormorano nella notte. Un po’ come andare in vacanza. Ma è una cosa che non si dovrebbe fare, forse, prendersi una vacanza dalla vita. Io lo faccio fin troppo spesso, però.
È ora che lei torni a casa a dormire.
Cosa c’entra che ora è, sono mica una bambina.
Non è questione di ore, è una questione di luce.
Che cavolo dice?
È la luce giusta per tornare a casa, è fatta apposta per quello.
La luce?
Non c’è luce migliore per sentirsi puliti. Andiamo.
(Alessandro Baricco, Tre volte all’alba)