Che cosa farebbe Jane Austen oggi? Di sicuro si comprerebbe un iPhone, da infilare magari in una it-bag (o anche no, Jane Austen amava i vestiti, ma non sarebbe mai andata in bancarotta per una borsa), manderebbe sms puntuti e spiritosi all'uomo che le piace, e, tra ragione e sentimento, sceglierebbe comunque il secondo. E poi aprirebbe Facebook per qualche gossip in diretta: perché, se non può vivere senza amore, non si può nemmeno senza pettegolezzi.
Poi ci sono le mostre: le incurably romantic vanno a Milano a vedere i broccati settecenteschi (e le teste mozzate) di Artemisia Gentileschi a Palazzo Reale, ma anche i video immaginifici di Pipilotti Rist alla Fondazione Trussardi (o, semmai, alla Hayward Gallery di Londra).
Jane Austen sarebbe d'accordo? Ma certo. È stata lei che ci ha insegnato a credere nel lieto fine, sempre e comunque. Nei buoni sentimenti. Nella capacità di indignarsi davanti alle ingiustizie. Nel potere della consolazione, che sia un libro o un paio di scarpe. Nell'humour che ti salva, sempre, anche in caso di cuore infranto. Perché sono così le incurably romantic: sperano sempre che dietro l'angolo ci sia un (nuovo) Darcy. Preferibilmente con l'iPhone. E, preferibilmente, che mandi criptici sms da salvare nel telefonino, e da rileggere a letto.
- Velvet, gennaio 2012
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