martedì 8 novembre 2011

Cattelan ci tiene a distanza.

     
Guggehneim Museum New York
Maurizio Cattelan: All
Novembre 4, 2011 - January 22, 2012



Maurizio Cattelan a me piace. Sarà modaiolo sarà irriverente da sfiorare l'antipatia invece a me sta simpatico, per la sua leggerezza e semplicità diretta dei suoi messaggi che fanno tanto incazzare i guru dell'arte che vogliono l'arte per forza complicata e teorica/teorizzata/teoricamente applicata.

Si, mi sta simpatico Cattelan. Non sarà un gran discorso di critica ma è difficile esprimere in linguaggi alti il divertimento, la risata che si prova quando ci si imbatte in Cattelan. Lascia a bocca aperta di stucco di marmellata e chi ne voglia. Cavalli appesi e papa colpiti da meteoriti. Bisogna poi staccarsi dalla serietà del mondo di oggi e scoppiare solo in una sonora risata. E per assurdo noi ridiamo e ci teniamo a distanza, Cattelan ci tiene a distanza. Dal mondo che che ci fa incazzare ogni giorno. Attraverso i suoi occhi lo vediamo diverso, non è il nostro mondo è qualcosa che non può essere davvero così. Omofobo e deludente. E ci stacchiamo da ciò che in realtà è.
Se ci riesci, ti piacerà come a me.





Al Guggenheim con il mio cattelan.
Patrizia Sandretto Re Baudengo


L'impressione è fortissima. Il Guggenheim di Maurizio Cattelan, reinterpretato dalla sua mostra personale, è uno spazio diverso, nuovo, straniante. Percorro la celebre rampa a spirale di Frank Lloyd Wright, ora con le pareti spoglie, e mi sembra che l'edificio abbia cambiato dimensione. Il grande vuoto centrale è sparito, riempito dalle opere sospese, calate dall'alto della cupola. Una pioggia di opere. Mi sostengo al parapetto e combatto con le vertigini e con l'emozione. Ecco, penso, questa architettura stravolta dalla rivoluzione del grande e del piccolo, dell'alto e del basso, del sopra e del sotto, è il nuovo capolavoro di Maurizio. Contiene tutta la sua arguzia e il suo coraggio, tutta la sua capacità di lavorare sulle dimensioni – dei corpi, delle stanze, dei pensieri – tutta la sua abilità nel sollevare percezioni sottili e acute, fisiche e mentali.
Mentre cammino insieme al direttore Richard Amstrong, in questa visita mattutina che ho il privilegio di compiere con lui nel museo ancora chiuso, mi sento un po' Alice e un po' Gulliver. In viaggio. Poi, naturalmente, tornano le preoccupazioni del prestatore. Cosa fa un collezionista quando va a vedere una mostra di un artista che ha in collezione? Cerca le proprie opere, controlla se sono presentate bene, posizionate meglio o peggio delle altre in mostra. Apprensione e un po' di spirito competitivo sono i sintomi di un forte attaccamento che cresce di giorno in giorno. Ma qui anche quegli automatismi vanno in crisi. Capisco subito che sarà difficile ritrovare le mie opere, sei tra quelle che posseggo di Cattelan. In questa affollata voragine è come fare una caccia al tesoro, spingendo lo sguardo in mezzo a un universo che esplode. All, Tutto, è il titolo scelto per questo magmatico pianeta: io mi sento un'astronauta libera dalla forza di gravità. Visitare questa mostra scardina molte delle abitudini che abbiamo nell'accostarci a un'opera d'arte contemporanea, avvicinandoci a un'installazione, girandoci attorno. Cattelan ci tiene a distanza, riconsegna importanza all'occhio e mette alla prova il nostro senso della misura e il nostro ruolo di spettatori.
La mostra newyorkese di uno dei miei artisti preferiti si visita in orbita, girone per girone come nel celebre «cammin di nostra vita», come entrando in una selva. Queste le prime impressioni. Durante l'anteprima riservata ai quindici membri del leadership committee (insieme abbiamo sostenuto la realizzazione dell'imponente retrospettiva), ho una seconda occasione. Questa volta mi attende Francesco Bonami, direttore della mia Fondazione, uno dei primi curatori ad aver capito che per Cattelan c'era un futuro. È il mio ottimo "Virgilio". Mi indica il cartellone pubblicitario che Maurizio installò ad "Aperto" alle Corderie dell'Arsenale, la sezione curata da Bonami alla Biennale di Venezia del 1993. In origine era la pubblicità di un profumo. Anziché esporre un lavoro, Maurizio aveva ceduto il proprio spazio a un marchio commerciale. Quando Cattelan è diventato Cattelan anche quel reperto è passato al rango di opera d'arte. Saliamo ancora. Il punto di vista cambia a ogni tornata. Opere famose sembrano aver cambiato carattere. Cerco con ansia Bidibibodibidoo, lo scoiattolino suicida. In mezzo a questo uragano d'arte ho paura che sia scomparso. Invece eccolo lì, sospeso e solitario. La sensazione che provo stravolge quella intima a cui sono abituata, quando l'opera è in Fondazione o a casa mia. Bonami ricorda quando la vide, nel 1996 a Londra, in galleria da Laure Gennillard, in un angolo, ignorata dal pubblico, dalla critica e dal mercato. Ricordo bene la telefonata con la quale mi suggeriva di andare a vederla e di acquistarla. Fu amore a prima vista. Costava poche migliaia di sterline ma per quegli anni era cara. Ringrazio quel mio piccolo colpo di follia. Oggi è uno dei rari pezzi unici di Cattelan ed è diventata la mascotte di tutta la mia collezione. Continuo a salire, alternando la vista dei singolo pezzi alla visione d'insieme: una grande e multiforme installazione fatta di centoventotto lavori, con tanto di firma al neon "Catttelan", con tre "T". Tre croci sul calvario che mi fanno pensare alle vittime dell'attentato del PAC a Milano nel 1993. L'artista raccoglie le macerie del museo, le stipa in un sacco da cantiere e le intitola Ninna Nanna. Qui, appeso sopra a HIM (il piccolo Hitler), il sacco appare ancora più pesante e grave. L'ho acquistato insieme al neon: segna un punto della storia italiana, è una reliquia contemporanea, una denuncia capace di tramandare un senso di pietà e di cura. Cattelan sa essere caustico e giocoso, ironico e spiazzante. Persino spiazzato, intelligente a giocare con la propria identità, come quella volta che a Torino alla GAM, in occasione della mostra «Campo 6» (una delle prime della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) fece intervistare il barista del museo al posto suo. Oppure quella volta che sul volo che la Fondazione aveva organizzato da Venezia a Palermo, indossò la divisa dello steward offrendo da bere ai passeggeri, curatori, direttori di museo, collezionisti, giornalisti. Era la Biennale di Venezia del 2001: Cattelan aveva riprodotto la gigantesca scritta Hollywood in cima alla discarica di Bellolampo. Guardando in mostra la foto di quell'installazione, mi torna in mente la storia raccontatami da un taxista palermitano. Mi spiegò, convinto, che Sylvester Stallone non potendo girare un suo film a Hollywood, aveva fatto ricostruire la scritta per poter riprendere in Sicilia. L'opera è entrata nella leggenda.

  
da Il Sole 24 Ore
La nona ora, 1999


A perfect day, gallerista Massimo de Carlo, 1999


Dito medio, Piazza Affari Milano, 2011

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