giovedì 27 settembre 2012

Azzeramento



Ero in macchina. Sopra la mia testa scendeva il diluvio. Di quelli che il livello tre dei tuoi tergicristalli non basta. In radio passava la canzonettante “no signora no” del Biagione nazionale o l'ultima di quella soda culona della Lopez, non importa, era comunque qualcosa che non centrava un cazzo con quel tempaccio da lupi che ti ricorda che la tua amata estate è, concettualmente e fisicamente, finita. E non basta la collezione P/E 2013 di Dolce&Gabbana, dannatamente bella, per assicurarti che l'estate tornerà.
Un anno fa prendevo un aperitivo, ora stavo andando a prendere un aperitivo. Un orologio che fa talmente tanto rumore da non lasciar tempo alla tua mente di ricordare gli attimi. Impegni da incastrare e scalette da organizzare. Vestiti da cucire e cinghiette da allacciare. Animi da controllare e karma da accettare. Un anno fa ero punto e a capo, ora sono punto e a capo.
Avrei voluto che quella pioggia portasse via anche tutti i miei pensieri. Azzeramento. Di colpo, tutto bianco. Tutto da riscrivere.
La tua amica si sposa, ed è ciò che più desiderava in vita. E tu cerchi invano la forza di essere felice per lei, con scarsi risultati. Fai shopping con tua madre in un centro commerciale. Dico, in un centro commerciale?? L'unica soddisfazione è tornare a casa con un reggiseno nuovo. I tuoi capelli biondi si scuriscono improvvisamente e di colpo, ti ritrovi a piangere in quella macchina.
Il tempo corre più veloce di te, mentre tu sei impegnata in situazioni pratiche da sbrogliare e un sonno tranquillo da riguadagnare.
Ti rendi conto che devi, in una sola parola, ripartire. Non suona come consiglio, ma più come una legge scritta su pietra, alla vecchia maniera. Muovere le chiappe, scrivere pagine e pagine e leccare le ferite. Perchè semplicemente ci sono notti che non accadono mai -diceva Alda Merini – e mentre le aspetti, la vita ti cade in testa, come quella pioggia.
Io ho solo voglia di ballare. Colonna sonora: Shoop Shoop Song di Aretha Franklin. E Bye bye pensieri. Almeno per oggi. Buonanotte signori. 
a. 

mercoledì 19 settembre 2012

La generazione senza macchina


( Shirin Neshat )

Oggi la piccola mia ha compiuto sei anni. Che fa tanto affermazione da diario della zia zitella, ma è pretesto per il dopo, chiaro. Festina di compleanno con torte a due piani perfettamente riuscite, tutti felici e con la pancia piena. Si gioca, la zia fa maschere di animali per tutti e sente che un pezzo della sua casa è lì. Tutto bene fin lì, poi alza lo sguardo. Da una parte villette a schiera di colori pastello, dall'altra mamme che parlano dell'ultimo centro estetico aperto in paese. È la classica giornata che inizia col sole e finisce con le tenebre dei tuoi pensieri. Soffocare. Non serve aggiungere altro. Dove si spinge il sogno umano se attorno a me vedo un futuro di villette a schiera, barboncini dal pelo sempre troppo sporco e una sedia per i tuoi prossimi dieci anni che chiamerai ufficio? Io non ci sto. Ma non vedo oltre le tenebre, stasera. Tutto mi dice che per continuare a ballare devo mantenermi nel recinto: la nonna, la televisione, i giornali. Pane e desideri non bastano più. Mi tremano le gambe. Quando anche le certezze cominciano a vacillare ti accorgi che è il momento di cambiare. Prospettiva.

“ Erano uomini splendidi, benchè di natura un po' schiva, poco portati a vivere in armonia col mondo, orgogliosi; però credevano in qualcosa: nell'onore, nelle virtù virili, nel silenzio, nella solitudine, nella parola data, e anche nelle donne. E quando subivano una delusione, si rifugiavano nel silenzio. ”
(Sàndor Màrai, Le braci)

Ora serve rigore. E silenzio. Le bastonate arrivano da ogni lato. La generazione senza futuro e senza una macchina, da potersi permettere, siamo noi e non è difficile crederlo. Mi sforzo, mi rinchiudo in quel rigore per raggiungere quell'obiettivo. Per crearmi i miei mezzi. Un aeroplano di carta e una parola che attrae. E volare via da qui. È difficile vivere in un mondo che ti sa dare solo relazioni estemporanee, lavori estemporanei, dimore estemporanee. Poi mi chiedete come mai non vorrei tornare? Là la felicità è essere a cena con altre cinquanta anime che hanno cento storie da raccontare, qui rincorrere con la macchina una compagnia che durerà l'ora di un aperitivo. Questo vi basti. Soffocare. La mia felicità, stasera, sembra non essere dietro la porta gialla. Mi impongo un silenzio, onorevole e pieno di possibilità.  


giovedì 13 settembre 2012

Sposta il camper, ADESSO! #MatteoRenzi2012


Lui è abbastanza irriverente, abbastanza oratore, abbastanza compiaciuto della sua parola e del suo cervello, da piacermi il giusto. Sto parlando di Matteo Renzi, quel ragazzotto che dalla curva della Fiorentina gioca a fare il segretario di partito. È partita oggi dalla mia Verona la sua campagna elettorale di candidatura alle primarie del Partito Democratico ed io ero lì ad ascoltarlo. Intenzionato a girare tutte le 108 tappe stabilite, fra province e comuni, si arma della sua ammaliante parlata e con i suoi compagni di viaggio parte su quel camper che fa tanto turista tedesco. Alla faccia di chi si prende gioco dei camperisti. Bello. Signori, stiamo parlando pur sempre di politica, e politica rimane, ma lo zucchero renziano addolcisce quella patacca di realtà in cui ci troviamo a vivere. Parla di sogni, parla di amici, di un futuro chiamato Europa e fa sentire i tuoi 25 anni non così fuori posto in quella sala piena di ufficialità. “Siamo qui a puntare il compasso sui 25 anni appena trascorsi e girarlo dall'altra parte”. Mi sento quasi vecchia, è ora di darsi una mossa e riempire di rivoluzioni la propria vita. Mette forza questo Renzi che ammalia. Sembra gli venga tutto da lì, dalla pancia, non perde una battuta, una pausa al punto giusto, fa centro il nostro Renzi. Di sicuro avrebbe fatto l'attore, da grande. Ma è bravo, anche nella testa. “Noi non veniamo dal pianeta delle chiacchiere” - dice, ma è impreciso. Perché noi sì che veniamo da quel pianeta costellato di cinguettii e condivisioni fotografiche, il segreto sta nel girare il tutto a nostro favore, e far diventare quelle chiacchiere strumento per una potente realtà. I confronti generazionali sono ancor più divertenti quando torno a casa dove la battaglia discorsiva si accende tra il babbo (mio) bersaniano e la bionda figlioccia renziana. L'importante è lasciare sempre aperte le domande, mi ha insegnato qualcuno. Non è tutto oro quel che luccica, lo sappiamo bene, certo che il nostro Renzi tira a segno e ci affascina ancora una volta con il richiamo della lettera a testamento di Ambrosoli. Bravo.

Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa”.



mercoledì 12 settembre 2012

Ritorno a settembre.



( questa vi basta come foto da settembremalinconia ? )


Questa mattina ho accompagnato quello splendore della mia nipotina di fronte alla sua nuova scuola. Il suo primo giorno di scuola. Cielo grigio, odore di afa non ancora bagnata, mamme semi indaffarate abbigliate da ufficio, uno di quei tipici giorni da catalogare come, appunto, primo giorno di scuola medio in cui ti accorgi che qualcosa sta iniziando. E qualcosa è già alle tue spalle. Se non fosse per la radio che trasmette ancora le hits che hai ballato (mezza) ubriaca sulla spiaggia per tutta l'estate, ti sembrerebbe di stare nello stesso mondo. Ma ogni anno, al contrario di ogni smemorata aspettativa, settembre ti cade sulla testa come una secchiata d'acqua dal quarto piano. Lo sguardo è assente come il più stupido borghese barboncino, boccheggi per il caldo cittadino a cui puntualmente non sei abituata, ti trascini i tic nervosi del più classico nervosismo da rientro, ti annusi la pelle cercando l'odore di sale, degli sguardi e dei baci che ti hanno sfiorato. Ho letto che per affrontare settembre qualcuno consiglia di aggrapparsi a qualcosa: “una promessa, un imperativo, un progetto, un cambiamento, un sogno. Per trovare la forza di rimettermi le calze, o almeno le scarpe” (sante parole). Ottimo, non c'è piano migliore, anche perché è quello che hai sempre fatto: indaffararti l'esistenza cercando qualche forma di salvezza per il rigido inverno (nemmeno fossi un orso). Poi c'è una cosa di cui bisogna, invece, disfarsi: dell'improbabilità che caratterizza le relazioni che strascicano verso settembre (sempre le sante parole). Non sto parlando dei pluri-rotolamenti notturni da spiaggia, o almeno non solo di quelli, ma anche dei legami stretti con troppa intensità durante il periodo estivo in questione. Le promesse che non dureranno e la preziosità di quegli istanti vanno salvaguardati con il più bel ricordo di cui sei capace, con la giusta malinconia e senza innescarti in quei meccanismi twitteriani e facebookkiani a te così cari. Perché poi, puntualmente, ritorneranno il prossimo anno come se nemmeno un secondo fosse passato. Dicono, poi, che nella vita ci siano sempre due versioni della stessa storia, dello stesso racconto o ricordo. Ma, forse, da dove vengo io, ce ne sono anche tre o quattro, di versioni. Di racconti, storie e ricordi sfioriamo il trilione. E non è detto che la tua, di versione, sia quella corretta. Anzi, il più delle volte è quella totalmente cannata. Il che contribuisce al caos interno ed esterno in cui ti ritrovi a settembre. Tutto chiaro, no? Forse, solamente, non mi ricordo più come ci si innamora, di persone e di luoghi. E l'epica condizione del vorrei-ma-non-posso mi tiene lontana da ferite (che non siano sotto i piedi) non richieste. Io, nel dubbio, continuo a ballare. Con tutti i capelli sul viso. E non m'importa se talvolta concedo giorni di ferie al mio cervello e ritorno ad avere i diciottanni che non ho mai avuto. È bellissimo.


difficile spiegare / è difficile capire se non hai capito già
(Vedi cara, Francesco Guccini)