giovedì 31 maggio 2012


(Gustav Klimt, Il bacio, 1907-08)



E M I M A N C H E R E S T I A N C H E S E N O N C I F O S S I M O C O N O S C I U T I





mercoledì 30 maggio 2012

lunedì 28 maggio 2012

L’entusiasmo dell’impossibile

a.  
in Gate34
http://gate34.it/lentusiasmo-dellimpossibile/



In qualità di più giovane del gruppo oggi vi dico la mia, mi perdonerete poi l’intrusione. Quasi venticinque anni, quasi due lauree, dormo poco, vivo tanto. Ma la sensazione qui è quella di perdere tempo. Non so se è il mondo che va più veloce di me, o solo questo mondo dell’informazione che cinguetta e sgambetta alla velocità di un tweet. Sono in ritardo su tutto. C’è chi a quindici anni faceva la sua prima radio, chi a diciassette apriva la sua scuola di vela, chi a ventuno lavorava nel cuore di Radio Popolare. I tuoi sforzi e i tuoi denari tanto sudati per studiare quelle dannate due lauree improvvisamente, vanno-in-fumo. La vecchia scuola insegna che studiare serve, ma la vita ti insegna a camminare sulle tue gambe. Sono vecchia e sono in ritardo, dunque, anche se di questi ultimi miei sei anni spesi tra libri e progetti vado fiera. Giunge l’ora di rimboccarsi le maniche, fare spugna del mondo e guardare avanti. C’è una cosa, però, che i ventenni hanno. Credono ancora nei sogni. La vita non li ha ancora massacrati a tal punto da fargli  dimenticare come si fa a sognare. E qui nasce tutto. C’è da crederci, perché qui nascono le storie come quella di Francesco Giubilei, classe 1992, professione editore di Historica Edizioni. 1992, avete capito bene. La faccio breve: a sedici anni apre la sua casa editrice, partendo da quell’associazione culturale “fatta in casa” ai tempi del liceo: nonna presidente, mamma vice, papà socio, che conta un capitale di partenza pari a 0 euro per una rivista di letteratura online. Prima pubblicazione: il romanzo di Laura Costantini e Loredana Falcone, “Le colpe dei padri”, diffuso a puntate sul loro blog. Poi l’incontro, il deus ex machina che, per intenderci, salva sempre il culo nelle belle storie: Giorgio Regnani, l’imprenditore dell’aceto balsamico appassionato di letteratura, che decide di investire in Historica. Stato attuale: quattro collane, 26 titoli su eBook con BookRepublic e Amazon, dipendenti e amici con una media dei 25 anni scarsi. Non male per un ragazzino che viene accusato di essere l’ennesimo figlio di papà. Lui combatte la sua battaglia a suon di parole e telefonate in cui finge d’essere più grande, e a noi cosa resta? L’ennesimo esempio che entusiasmo e grandi progetti rappresentano l’accoppiata vincente. A vent’anni non si saprà dove questa vita ti porterà, quello che è certo è che i ventenni sanno benissimo che ogni cosa è possibile, e non si spaventano. Reinventarsi ed entusiasmarsi sembra essere la lezione del giorno. 



venerdì 25 maggio 2012



BIONDEZZE, PRIMAVERE
E L'ARTE DEL CIVETTARE,
NON C'È GALLO CHE TENGA.


giovedì 24 maggio 2012

Non sempre c’è un happy ending

a.
in Gate34

http://gate34.it/non-sempre-ce-un-happy-ending/




Che le principesse, ahimé, fossero passate un po’ di moda lo avevano visto un po’ tutti. Diciamo, meglio, che per tenere il passo con i tempi devono svecchiarsi anche loro, ma non basta un tocco di cipria questa volta. Bisogna togliere le ragnatele al principe azzurro e rivedere quell’happy ending. Qualche sintomo si intravedeva già tra una principessa che in un cartone della Disney vuole aprire un ristorante o Biancaneve che capitana la banda di briganti nell’ultimo film di Tarsem Singh.
Qualcun altro ci ha messo ancor più impegno mettendo le sognanti principesse disneyane in una realtà quotidiana, in cui l’attualità si guarda con occhi drammatici prima, ironici poi.  Stiamo parlando di Dina Goldstein che inserisce le sue Fallen Princesses nella dura prova della vita quotidiana: c’è la Biancaneve casalinga e la Bella Addormentata all’ospizio. Insomma, come a dire che i sogni, quelli di tutti, prima o poi devono fare anche i conti con la realtà di ogni giorno, come Belle che non si arrende alla vecchiaia e strizza l’occhio alla chirurgia plastica, e Ariel che rimane pur sempre con la sua coda di pesce e finisce i suoi giorni nell’acquario ad intrattenere i nostri bambini.
Poi arriva Thomas Czarnecki con il suo ultimo progetto, From Enchantment to Down. Il giovane fotografo, attivo in singola e col suo collettivo Mustribe e per niente estraneo al mondo della moda, ci si butta di testa in questo mondo, ne coglie le immagini affascinanti e la realtà più cruda. Il suo è un lavoro su quel finale della storia tutto desideri e incanto, che da sogno diviene incubo. Le sue principesse soccombono all’eventualità che da un castello  tu ti possa ritrovare in una capanna. È il caso di Alice nel Paese delle Meraviglie che rimane intrappolata in uno scantinato abbandonato senza più speranza di redenzione.
La buona notizia è che questo modo di tradurre i sogni in realtà poi ci fa vedere il mondo in cui viviamo attraverso un sguardo che dal drammatico diventa ironico, seguendo oltremodo quella tendenza della fotografia di moda degli ultimi anni che sa attirare per entusiasmo, ironia e quel pizzico di giusta irriverenza. La fotografia diviene così il mezzo per divertire, creare e, perché no, farci aprire un po’ gli occhi su questa realtà che troppo spesso evitiamo di guardare, rinchiudendoci tra le mura del nostro castello. 









#buonanotte mondo, 
questa notte #solobeisogni




lunedì 21 maggio 2012

Vi presento Gate34.



VI PRESENTO GATE34.


Siamo colleghi. Anche un po' amici. Condividiamo ore, scrivanie e parole di ogni genere. 
 Scriviamo per gli altri e per noi. Qui dentro ci siamo noi. 
Perchè un'azienda è delle persone che ne fanno parte. 
Delle loro idee e delle loro passioni.


Siamo Nove34, ci trovate su fb 

(un like sulla pagina per l'amicizia dai dai)



E Io sono la vostra bionda. 

Che scrive per voi (da oggi) (anche) qui.
 




Si vestì furtivo e se ne andò,
facendo il suo ingresso in un nuovo giorno,
in uno dei suoi soliti nuovi giorni

(Joseph Roth, La leggenda del santo bevitore)


un anno esatto fa.
madrid.
una vita alle/di spalle.

lunedì 14 maggio 2012

Non abbiamo più occhi per guardare il mare.

(Stina Persson)

Siam tutti fatti uguale. Siam tutti fatti male. Pochi si salvano, quelli buoni, esistono davvero, lo sapevate? Io mi metto nel sacco, dei fatti male. Siamo tutti qui a costruirci una corteccia dal mondo, il dolore ci costruisce, capaci solo di affrontare il mondo a facciate e schienate. Le carezze non sono di questo mondo, non vanno di moda. Lamentarsi, scappare da ogni situazione, impegnati a fare dell’altro, ad essere lontano da dove si è, a parlare per riempire i silenzi. Il suono delle nostre parole ci affascina e ci ubriaca, una dipendenza di complessità grammaticali, una battaglia al linguaggio più forbito combattuta a sangue freddo.

Quando la mattina vi guardate allo specchio, come decidete la faccia che metterete quel giorno?

Abbiamo tutti una storia più bella da raccontare, un luogo dove scappare, un nuovo amico da cercare. Non ci basta più un cazzo di quello che abbiamo. E ci perdiamo dietro i muri costruiti da noi stessi. Non abbiamo più orecchie per ascoltare, non siamo più disposti ad imparare quello che la vita ci può insegnare. Non abbiamo più occhi per guardare il mare. I carcerieri di noi stessi, scrissi più di un anno fa. Secondo post. Sono ancora qua. Questo mondo fatto di bronci e cazzate, mi fa schifo. Stasera non ho parole buone per nessuno, nemmeno per me. Quella bionda che sa trasformarsi e diventare il cuore genuino che alcuni conoscono, è lontana. Lontana da me stessa, mi fa schifo pure questo. Questo mondo ha bisogno di sogni. Sogni che nessuno è più in grado di sognare. Questo mondo ha bisogno di nuove anime. Di istinto ed energia. Perché i film, in fondo, sono belli solo al cinema.

Mi distraggo e mi sospendo
sposto l’attenzione
per non prendere posizione.
La soluzione.
E per paura di perdermi, non mi appassiono.





sabato 12 maggio 2012

Take me back, to summer paradise.
Above the clouds away from you,
 and I can’t believe I’m leaving

(Simple Plane)




venerdì 11 maggio 2012


Siamo onesti. 
Tutto ciò che una donna sotto i 30 deve fare per far sì che un un uomo 
butti al cesso la sua vita, la sua carriera e le sua famiglia per lei, 
è aprire la bocca. (Vice)



(David LaChapelle)


giovedì 10 maggio 2012





 

Essere vaghi 
ci rende più evoluti

Corriere della Sera
La lettura

Domenica 29 aprile 2012
 
 
Biologia, diritto, web: l’imprecisione aiuta la creatività Lascia aperte le porte della conoscenza e dà motivazioni




«I confini della ricerca scientifica sono quasi sempre immersi nella nebbia». Lo scriveva Francis Crick nella sua autobiografia. La frase può sorprendere chi pensa alla scienza come al regno dell’esattezza e della precisione. Associare le idee di «confini» e «nebbia» crea una delle situazioni più vaghe che possiamo immaginare. Dove tracciamo il confine di un banco di nebbia? In quale punto inizia e in quale finisce? Ma con la vaghezza bisogna fare i conti, gli scienziati lo sanno. Se lo stesso Crick e James Watson avessero dato una definizione precisa di gene, molto probabilmente la biologia molecolare non avrebbe fatto i progressi che ha fatto grazie alla loro scoperta — ancora oggi la comunità scientifica non è concorde sulla definizione di «gene». Allo stesso modo, se il giovane Charles Darwin avesse avuto ben chiari i confini della nozione di «specie», la sua teoria dell’evoluzione non avrebbe visto la luce.
«La scienza non si fonda su basi bianche o nere. Bisogna imparare a ragionare secondo gradazioni di grigio» è la tesi dell’esperto di vaghezza Kees van Deemter, autore di Not Exactly: In Praise of Vagueness (pubblicato due anni fa da Oxford University Press, in uscita in queste settimane in una nuova edizione ebook e paperback). «Se guardiamo a molti concetti scientifici con la lente di ingrandimento ci imbattiamo nella vaghezza», scrive van Deemter proprio a proposto dell’idea di «specie». I biologi continuano a cercare confini netti per le distinzioni tra specie, senza raggiungere un accordo. Secondo la definizione in uso due animali appartengono alla stessa specie se è possibile ibridarli, se possono generare prole fertile. Ma questa definizione contempla casi borderline. Si prenda la Salamandra Ensatina. Questo anfibio tipico della California ha sei sottospecie. La sottospecie A si ibrida con la B, la B con la C, ma alla fine della catena la A non si ibrida con la F. Nonostante casi indefiniti come questo, la nozione viene comunque usata dalla comunità scientifica.
Ma con la vaghezza abbiamo a che fare tutti nella vita quotidiana. Alto, basso, magro, grasso, calvo, obeso, povero. Ci serviamo di continuo di predicati come questi. «Descrivere il mondo in termini discreti è un’utile finzione. La logica classica è discreta, impone dicotomie», sostiene van Deemter. Mentre per definire con precisione la vaghezza è necessario occuparsi dei casi borderline. È uno dei punti di partenza di Vaghezza: Confini, cumuli, paradossi, saggio appena pubblicato da Laterza di Sebastiano Moruzzi, ricercatore del dipartimento di Discipline della comunicazione dell’Università di Bologna. Il libro di Moruzzi è un’introduzione alle teorie filosofiche della vaghezza. È un aspetto del linguaggio? Della nostra conoscenza della realtà? O della realtà stessa? Per risolvere questi rompicapo è necessario servirsi delle cosiddette logiche non classiche. Fuzzy logic e teorie supervalutazioniste, ovvero linguaggi che si servono di più valori di verità, quando «vero» e «falso» non bastano. «La vaghezza ci impone innanzitutto unamodestia epistemica su noi stessi comportando una professione di ignoranza su quale sia la portata effettiva delle nostre capacità cognitive», scrive Moruzzi.
Forse questo è il modo per liberarsi di quella che Richard Dawkins definisce «tirannia della mente discontinua», ovvero il pensiero secondo categorie discrete, per avvicinarsi a quell’idea di continuum metafisico su cui torna così spesso David Foster Wallace nell’intervista pubblicata in Come diventare se stessi. Certo, difendere la vaghezza può essere difficile in un’epoca che chiede informazioni precise. Essere vaghi risulta come essere poco chiari, elusivi, sfuggenti. Pigri, addirittura. «Eppure alle volte l’esattezza è pericolosa, limita le possibilità, tarpa l’immaginazione. Vaghezza vuol dire tenere la porta aperta, ricordarsi che non conosciamo la risposta, che possiamo ancora fare meglio, che possiamo ancora fallire», scrive Jonah Lehrer autore di Imagine: how creativity works (Houghton Mifflin Harcourt, 2012). Nell’impresa si sono cimentati anche due studiosi delle università dello Utah e di Stanford, Himanshu Mishra e Baba Shiv, in una ricerca pubblicata nei mesi scorsi dalla rivista «Psychological science». Lo studio mostra i benefici a livello cognitivo dell’inarticolato e del vago, illustrando i problemi provocati dall’eccesso di precisione. Supponiamo che vogliate fare una dieta, decidete di perdere 5 chili. Dopo qualche giorno vi pesate: avete perso solo 4 chili. «Rappresenta un progresso, ma siete delusi. Sarete demotivati e abbandonerete la dieta», scrivono Mishra e Shiv. Il problema sta nell’esattezza della scala, che rende impossibile ignorare gli insuccessi. «Se l’informazione fosse più vaga, potremmo dare un’interpretazione più generosa dei dati», scrivono gli studiosi. I benefici motivazionali erano sottolineati anche da uno studio di Catherine Clement della Easter Kentucky University: per aumentare la nostra capacita di risolvere problemi complessi è meglio usare verbi generici.
In ambito giuridico considerazioni sulla stessa linea si trovano nell’Oxford Handbook of Language and Law, di prossima uscita. Ralf Poscher, autore di uno dei saggi raccolti, arriva alla conclusione che «la vaghezza non è un pericolo per il diritto. Il vantaggio maggiore è nella riduzione dei costi di decisione». Se le conclusioni di psicologi e giuristi lasciano perplessi, si può tornare alla nostra vita quotidiana online e alla riflessione dell’informatico van Deemter: «Stiamo andando verso il web semantico, in cui le rappresentazioni formali sono simboliche. La sfida è rappresentare cose vaghe o gradabili, concetti come una casa “per tutte le tasche” o monumenti “antichi”». I rischi arrivano quando ci si sposta nel discorso politico: «Lì ci possono essere manipolazioni e si sfocia nell’ambiguità». E i confini tra sana vaghezza e pericolosa ambiguità non sono così netti.
 
Antonio Sgobba

domenica 6 maggio 2012

Qual è la tua Itaca?



“Sempre devi avere in mente Itaca
 raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto non affrettare il viaggio
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca” 


(Kostantin Kavafis)


giovedì 3 maggio 2012

mercoledì 2 maggio 2012

Il libro in borsa.


  

"Dai un appuntamento ad una ragazza che legge. Dai un appuntamento ad una ragazza che spende il suo denaro in libri anziché in vestiti. Lei ha problemi di spazio nell’armadio perché ha troppi libri. Dai un appuntamento ad una ragazza che ha una lista di libri che vuole leggere, che ha la tessera della biblioteca da quando aveva dodici anni.
 Trova una ragazza che legge. Saprai che lo fa perché avrà sempre un libro ancora da leggere nella sua borsa. E’ quella che guarda amorevolmente sugli scaffali di una libreria, quella che tranquillamente emette un gridolino quando trova il libro che vuole. La vedi odorare stranamente le pagine di un vecchio libro in un negozio di libri di seconda mano? Questo è il lettore. Non può resistere dall’odorare le pagine, specialmente quando sono gialle.
 Lei è la ragazza che legge mentre aspetta in quel caffè sulla strada. Se dai una sbirciatina alla sua tazza, la sua panna non proprio fresca galleggia in superficie perché lei è già assorta. Persa nel mondo dell’autore. Siediti. Potrebbe darti un’occhiataccia, poichè la maggior parte delle ragazze che leggono non amano essere interrotte. Chiedile se le piace il libro.
 Offrile un’altra tazza di caffè.
 Falle sapere ciò che tu davvero pensi di Murakami. Vedi se sta leggendo il primo capitolo di Fellowship. Cerca di capire che se dice che ha compreso l’Ulisse di Joyce, lo sta solo dicendo perché suona intelligente. Chiedile se ama Alice o se vorrebbe essere Alice.
 E’ semplice dare un appuntamento ad una ragazza che legge. Regalale libri per il suo compleanno, per Natale e gli anniversari. Falle il dono delle parole, in poesia, in musica. Regalale Neruda, Pound, Sexton, Cummings. Falle sapere che tu comprendi che le parole sono amore.
 Capisci che lei sa la differenza che c’è fra i libri e la realtà ma che per dio, lei sta cercando di rendere la sua vita un poco simile al suo libro preferito. Se lo fa, non sarà mai colpa tua.
 Ha bisogno di essere stuzzicata in qualche modo.
 Mentile. Se comprende la sintassi, capirà che hai la necessità di mentirle. Oltre le parole, ci sono altre cose: motivazione, valore, sfumature, dialogo. Non sarà la fine del mondo.
 Deludila. Perchè una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine. Perché le ragazze come lei sanno che tutto è destinato a finire. Che tu puoi sempre scrivere un seguito. Che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe.
 Che nella vita si possono incontrare una o più persone negative. 
Perché essere spaventati da tutto ciò che tu non sei? Le ragazze che leggono comprendono che le persone, come i caratteri, si evolvono.
 Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta. Quando la trovi alle due di notte stringere un libro al petto e piangere, falle una tazza di the e abbracciala. Potresti perderla per un paio d’ore ma tornerà sempre da te. Lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre.
 Chiedile la mano su una mongolfiera. O durante un concerto rock. O molto casualmente la prossima volta che lei sarà malata. Mentre vi guardate su Skype. 
Le sorriderai apertamente e ti domanderai perché il tuo cuore ancora non si sia infiammato ed esploso nel petto. Scriverete la storia delle vostre vite, avrete bambini con strani nomi (ma anche Andrea ed Irene andrà bene...) e gusti persino più bizzarri. Lei insegnerà ai bimbi ad amare Il Gatto e il Cappello Matto e Aslan, forse nello stesso giorno. Camminerete insieme attraverso gli inverni della vostra vecchiaia e lei reciterà Keats sottovoce , mentre tu scrollerai la neve dai tuoi stivali. 
Dai un appuntamento ad una ragazza che legge perché te lo meriti. Ti meriti una ragazza che possa darti la più variopinta vita immaginabile. Se tu puoi solo darle monotonia, e ore stantie e proposte a metà, allora è meglio tu stia da solo. Se vuoi il mondo e i mondi oltre ad esso, dai un appuntamento ad una ragazza che legge.


O, ancora meglio, dai un appuntamento ad una ragazza che scrive.


(Rosemarie Urquico)