giovedì 29 marzo 2012

E poi sogno in spagnolo.


   
Sono giorni malinconici in termini di ricordi. Un balzo diretto ad un anno fa. In questi giorni ascolto musica spagnola, guardo video spagnoli, leggo il Paìs ogni giorno, scrivo per lavoro, sbaglio e scrivo frasi in spagnolo. E poi sogno in spagnolo, che se qualcuno sa, nessuna parola andrebbe aggiunta a quel sentirsi parte di qualcosa. A parte le invasioni di campo preoccupanti tra una lingua e l’altra, respiro un’aria di sole, ma non è il sole di Madrid. Come spiegarvelo. Il cielo è sempre azzurro, è infinito, le nuvole passano velocissime, la luce di quel sole ti penetra nelle mani e nell’anima, è una scarica elettrica che ti tiene in vita. E a Madrid il sole non manca mai. Dovete fidarvi. Perché a me è entrato propri lì, all’incrocio delle costole, e di notte, solo di notte, grida con tutta la voce che ha. Non ho mai scritto il mio /Diario di viaggio/ di quell’esperienza, di quell’anno così. Così pieno, pieno solo come può esserlo un frullatore. Pieno, complesso e scombinato. Perché è ancora troppo dentro di me per considerarlo terminato, è difficile da affrontare, come un’amico che ti abbandona. Non sono ancora pronta a parlare di vicoli e sorrisi di quella Spagna che mi è entrata nel cuore, ma lo farò. È una promessa. Ma ora. Ora mi manca tutto. Quel sole, i week end col contagocce, i sorrisi della mia rossa e la mia bionda. E di tutte le altre. Il silenzio degli infiniti paseos e il chiacchiericcio di sottofondo che non ti abbandona. Ci sarà una corrispondenza di astri, di stelle e di cieli di cui io non sono a conoscenza. Ci saranno dei motivi che legano oggi all’oggi esatto di un anno fa. Ma io non li ricordo, per ora. Perché è la Spagna, signori. Che quando ti entra nel cuore, non ne esce più.

 


lunedì 26 marzo 2012




Oggi mi fermo  e vi regalo un sorriso.
Oggi questo mondo frettoloso non mi avrà.

Niente ci appartiene. Solo il tempo è nostro. (Seneca)

26 marzo. Giornata Mondiale della Lentezza.


   
 


sabato 24 marzo 2012

Un metro cuadrado donde todo pueda ser




 

Donde poderse perder, donde nada haya que hacer
Sin leyes ni presidentes,
Donde todo pueda ser
1m2 para sentirse bien

1m2, un hombre o una mujer
1m2 para dejarse querer

Estaré aquí sentado
Esperando por si acaso
Apareces por sorpresa y te sientas a mi lado
1m2 para sentirse bien

Estaré aquí sentado
Esperando por si acaso
Se te gira la cabeza
Y se te ocurre aparecer
1m2 para sentirse bien

1m2 donde me guste vivir
1m2, solo o bien acompañado
1m2 para ser libre
1m2 para estar enamorado
de ti

Hay un sitio para ti,
Para estar cerca de mí
Para volver a quererte,
Para hacerte sonreír,
1m2 para ti y para mí
Hay un sitio para ti,
Para estar cerca de mí,
100 cm por lado
para hacerte muy feliz,
1m2 para ti y para mí

1m2, no me muevo por si acaso


(Jarabe de Palo)


 

  

giovedì 22 marzo 2012

  

  

Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.

 
Alda Merini
21 marzo 1931 - 1 novembre 2009
Buon compleanno, poetessa.


  

venerdì 16 marzo 2012

Sono storie di incontri due.


  

Era mattino.
E lei era in un letto che non era il suo. Era successo per l’ennesima volta.
Il suo ultimo ricordo nitido risaliva a quel mojito con abbondante zucchero di canna. Il quinto, forse anche il sesto.
Certo, lui era uno di quelli belli davvero. Non aveva avuto il tempo di scoprire se fosse anche bello nell’anima, ma quegli occhi parlavano da sé, e forse sarebbero comunque bastati. Ad ogni modo non avrebbe importato, era solo un corpo, che aveva sfiorato, che non era stato suo. Faceva fatica a ricordare cosa significava sentire un corpo proprio, sentirsi toccare nelle pareti dello stomaco.
Di certo non era stato così la sera precedente.
Il tempo di uno sguardo fuori dalla finestra, di raccogliere voracemente le proprie cose, ed era già sugli scalini che la sera prima sembravano molti meno.
Fuori c’era il sole.
E aveva lasciato il suo libro all’interno di quella casa, pazienza. Quel libro che stava leggendo ieri sera al pub non le piaceva poi così tanto.
Era successo di nuovo.
E non si ricordava nemmeno più quando aveva iniziato.
Aveva il suo fascino questo gioco, incontri e scontri che nemmeno hanno il tempo di un ricordo.
Anche lei era molto bella, e lo sapeva.
Qualche ricordo lontano affiorò. Forse aveva iniziato lì.
Improvvisamente il rumore della nostalgia, talmente silenzioso da divenire assordante, non per le orecchie, ma per l’anima.
Il ricordo di quelle prime rughe ai lati degli occhi. Ancora una volta, blu. Quante volte li aveva cercati e ci si era persa. Quanti altri ancora ne aveva visti come quelli.
Non aveva chiesto ipoteche. Né su quegli occhi, né su nient’altro.
Era stato intenso, un vortice. Caldo come un fuoco. Poi ci si scotta, doveva saperlo.
Eppure.
Ora si trovava lì, non stava nemmeno scappando, stava respirando.
Il rumore dei gabbiani, il mare davanti. Quel porto che era casa sua. Aveva camminato e ci era arrivata senza deciderlo. Era un po’ come un rifugio, correva lì fin da bambina a guardare le navi quando litigava con sua madre. Prima o poi avrebbe preso una nave, qualsiasi, e sarebbe salpata. La meta non importava, anche un merci, con tutti quei ruvidi marinai. Ci aveva pensato a diventare uno di loro, ma suo fratello maggiore glielo aveva impedito, troppo pericoloso per una ragazzina tutta sogni e noncuranza.
Sapeva che quando avrebbe deciso, non sarebbe più tornata.
Forse c’era ancora tempo.
Respirò.
E per la prima volta dopo molto tempo riuscì a sentire l’aria che entrava nei polmoni.
C’era ancora spazio. Per qualcos’altro. Anche se gli spilli si sentivano tutti.
E non avrebbe smesso di giocare, non ancora.
Non avrebbe smesso neppure di farsi travolgere, talvolta, da quella nostalgia. Almeno fino a quando non si fosse svegliata la mattina con un pensiero diverso da quel mare.
Non era ancora tempo.


  

Sono storie di incontri uno.

 

“Pensi a lei?” gli domandò Stella spegnendo la sigaretta.
“Sì”.
Guardava Stella come si guarda un oggetto. Un bell’oggetto. Stella era una bella puttana. Il suo corpo madido brillava. Non era ancora stata consumata dagli uomini, dall’alcool e dalla droga. Gli aveva detto di avere vent’anni.


Adesso sentiva distintamente i rumori della città. Irrompevano dalla finestra aperta della camera. Colpi di clacson. Stridori di freni. Sirene della polizia. Voci. Batter d’ali di piccioni, a volte. Lo stesso rumore, in tutti i porti del mondo, che ti invade dopo esser stato a letto con una sconosciuta che non rivedrai mai più. Il rumore della nostalgia A ricordarti che non sei di lì, che sei uno straniero di passaggio.
Un marinaio perduto.
Stella si era girata verso di lui.
“Pensare non serve a niente” disse. “Siamo qui e il resto del mondo non esiste. Non credi?”
“Tu ci credi?”
“Dimenticare” gli aveva detto, “non credo sia necessario nella vita. Non credo si possa del resto”.
“Che consiglio mi dai, allora?”
“Non ho consigli da darti. Né destini da predire”.
“Allora ti pago per niente?”
“Se si paga non è mai per niente”.
Come con Stella.


Non aveva neppure aspettato che Stella si svegliasse. Forse non dormiva. Non importava. L’aveva pagata. L’aveva ascoltata. L’aveva scopata. Non le doveva niente. Nemmeno un arrivederci.
Si era rivestito in silenzio. Aveva guadato un’ultima volta il suo corpo. come si guarda un morto prima di chiudere la bara. Così. Chiudeva il coperchio sulla sua vita passata. Lasciava accanto a Stella, nelle pieghe delle lenzuola ancora umide del suo sudore, la sua vecchia pelle, il suo cadavere.

Adesso poteva succedergli di tutto, non aveva più nessuna importanza. Scese per cours Julien fino alla Caneibière. “Non bisogna disperare” gli aveva detto Diouf. “L’avvenire è un mondo che contiene tutto”.


Poi, l’essenziale è cavarsela senza danni.



Jean-Claude Izzo, Marinai Perduti




   

giovedì 15 marzo 2012


Anche la scritta del tatuaggio era sorprendente. Una cosa è un legionario tra le due guerre, 
ubriaco di disprezzo e di letteratura, che va in cerca di avventure con un fucile e alcuni 
versi di Apollinaire. Ma ciò non può accadere in quest'ultimo terzo di secolo. 
La gente, pensò Carvalho, ha scoperto di essere capace di fare soltanto ciò che riesce a fare.
 Nessuno si inventa la propria vita come se inventasse un romanzo. (cit.)
 

  


martedì 13 marzo 2012

Dove dormono i gabbiani?

 


Il senso non ti abbandona, che sia il quarto o il sesto. Nemmeno i crampi. Quelli ai piedi perché nuoti con i piedi sbagliati, quelli al cuore. Non ho voluto ascoltare fino in fondo chi mi insegnava di principi ed idealismi, non era tempo per idealismi ed ortodossie. Era tempo di (in)seguire il vento. Ma poi ci sbatti. Addosso ai tuoi stessi principi e capisci che in verità non se ne sono mai andati. Siamo sempre lì, una giostra che gira a 40 nodi. Perdersi e ritrovarsi. Il principio sta all’intelletto come il sogno sta al cuore. Sono coppie. Come il re e la regina. Di quadri e di cuori. Un po’ come le anime. Perché, vedete, è una storia di anime, mi è stato insegnato. Che si incontrano perché alcune  sono fatte per trovarsi. Mi è stato insegnato e, vedete, c’è da fidarsi davvero questa volta. E non ci sarebbe nient’altro da aggiungere. Scappiamo dai sogni perché fanno paura, scappiamo dalla realtà perché bastona. Un cane che si morde la coda, insomma. Ma dove andiamo? Inseguiamo, zigzaghiamo, confondiamo. Chi con cosa non lo sappiamo con certezza. Riempirsi la vita fa sempre il suo bell’effetto. Ma poi, eccoli lì che ti aspettano come l’alba. Come le ciliegie a primavera. Come chiamarli? Sogni, fantasie, idee? Io imparo a chiamarla anima. I piccoli traguardi sono i ruscelli di questa vita, bisogna scorrerci dentro. Cedere alla corrente e farsi travolgere dall’acqua gelata. Poi arrivate al mare. Sempre. Riuscite a ricordarvi i bambini che eravate? Io faccio fatica. Fate uno sforzo, cazzo. Quei bambini stanno urlando, loro sanno che il sogno non va perso. Ma voi lo avete dimenticato e non riuscite a ricordarvi come. Quando lo avete dimenticato? Quell’anima va accudita e amata, un po’ come una donna. Ascoltata, ammirata, amata. È un laboratorio. È una promessa. Mantengo gli obbiettivi. Il primo raggiunto. Nel secondo c’è solo da fidarsi. Come suonava il terzo? “Buon proposito tre, quello a lungo termine: ri-montarsi”. Mantengo le promesse. Continuo a camminare la mia strada di ghiaia. Centodieci desiderosi e anime incontrate. Appunto e proseguo. Mi s-doppio e s-triplo. Tutto riesce. Non è un’autostrada, vuoi mettere il paesaggio? C’è il tempo per fermarsi e chiedere al sole come sta. Se è stanco o continuerà a sorgere. C’è il tempo per chiedere alla luna dove dormono i gabbiani. Dove dormono i sogni.

Tra vent'anni non sarete delusi delle cose che avrete fatto. Ma da quelle che non avrete fatto. 
Allora levate l'ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele, esplorate, sognate, scoprite.
- Mark Twain

 
 

domenica 11 marzo 2012

  
HA IL MAL DI MONTAGNA.
E SA CHE FINO A SABATO PROSSIMO NON PASSERÀ.
# fissa rulez



    

martedì 6 marzo 2012

Il cromosoma maschile è salvo.

 


Si spegne il desiderio. Il cromosoma Y è sul viale del tramonto. Sembrava una rappresentazione in tre atti della crisi del maschio, trascinata dalla camera da letto fino ai laboratori. Con le donne destinate a mantenere un bel genotipo simmetrico (XX) e gli uomini che si ritrovano con una X soltanto e nient’altro (Xo). E invece no. Il cromosoma Y si è preso la rivincita: non è vero che sia irrimediabilmente destinato all’estinzione, come si è detto nell’ultimo decennio. Non è vero che perde pezzi e continuerà a farlo fino a essere rimpiazzato da uno zero. Anche fra 5-10 milioni di anni, con ogni probabilità, il genotipo XY sarà il marchio di fabbrica dei discendenti maschi dei primati, uomo compreso.

La notizia è arrivata sulle pagine della rivista “Nature”, con un lavoro firmato da Jennifer Hughes e David Page: il confronto delle sequenze del cromosoma sessuale maschile di Homo, scimpanzé e macaco rhesus ha decretato che è stabile da molto, moltissimo tempo. Con buona pace della teoria della degenerazione (rotting theory) e delle sue funeste previsioni. Il segmento di Dna che determina lo sviluppo dei testicoli, dunque, è al sicuro: non dovrà cercare ospitalità su un altro cromosoma, come un profugo, per poter assicurare la sopravvivenza dei figli di Adamo. Ed è un po’ come se insieme a questo gene detto Sry si salvasse anche l’ego del maschio. Basta aver letto Io e lui di Albero Moravia per sapere che molti uomini hanno con il proprio organo sessuale un rapporto speciale, dialettico e al tempo stesso di identificazione. “Il io nome è Federico, meglio Rico, lui lo chiamo Federicus rex”, scriveva Moravia all’inizio degli anni 70, raccontando le avventure di un giovane alle prese con una sessualità esuberante, difficilmente controllabile. Non solo Rico dialogava col suo membro, a voce alta o mentalmente a seconda dei casi, ma aveva scelto per lui il nome di un re vittorioso. Si tratta di letteratura, certo, ma anche di una colorita lezione di psicologia. Spesso e volentieri, nella lingua come nell’immaginario, una parte saliente finisce per rappresentare il tutto, ecco allora la trappola della sineddoche pronta a scattare. Uomo-pene-Y. Poteva l’effige spaccona del re di Prussia coesistere con quella di un alter ego cromosomico che si rimpicciolisce fino a scomparire? I corpi cavernosi di Federico il Grande possono essere l’incarnazione delle istruzioni genetiche impartite da Pipino il Breve, il più miserabile dei cromosomi?

(...)

E se invece dovesse accadere l’irreparabile? Sarebbe la fine dell’uomo o la fine dell’umanità? Gli ominidi orfani dell’Y, che magari avranno abbandonato la Terra per colonizzare nuovi pianeti, saranno tutti di sesso femminile come in certe storie di fantascienza? Si riprodurranno per clonazione? Magari fabbricheranno spermatozoi artificiali con le staminali? Fermi tutti. Anche nel caso peggiore, l’evoluzione offre possibilità insperate. Nel mondo animale esiste già qualche specie che ha preso l’Y senza aver riportato danni, e senza che i diretti interessati se ne siano neppure accorti. Sono dei roditori transcaucasici (Ellobius) e giapponesi (Tokudaia). Questi esempi ci dicono che i geni chiave della mascolinità possono spostarsi su un cromosoma più stabile e continuare tranquillamente il lavoro fuori sede.

In poche parole, morto un Y se ne può fare un altro.


Corriere della Sera
la LETTURA 
di ANNA MELDOLESI

 

lunedì 5 marzo 2012


 
cinguetto, d'altronde è quasi primavera.
# bionde on twitter

https://twitter.com/#!/AgneseZampieri

# mantenere i buoni propositi
- vi aspetto numerosi -

  
 
 

domenica 4 marzo 2012

I morsi della domenica.


   
(È domenica. Pausa dal silenzio stampa. Tra riviste e morsi.)


In un mondo che vive di mercatini vintage e bauli riaperti delle nonne, torna anche happy days. L’appassionata di moda che non traspare, poco, qui, fiuta, più che altro s’informa, che a tornare or ora sono i colorini pastello, quelli dall’humor all’inglese, tutte gonne voluminose andature saltellanti e pantaloni alla caviglia per i ragazzetti dalle gambe molleggiate. Era ora, anche il mio armadio potrà avere un po’ di notorietà. Primavere tenui in arrivo tutte fiori e sole che scalda e jukebox accesi, ussignur che felicità. Peccato che la sottoscritta ora voglia giocare alla menefreghista e alla sportiva. È tutto un lavorare duramente guadagnandosi il pane, tutto un sale in zucca e nutrire la testa, un scappare in montagna appena possibile e voler fuggire in Sardegna a fare la vita da vagabonda marinaia, e fermiamoci qui. Fuori luogo, fuori posto, fuori acqua. Qui la sola acqua che vedo è la neve che si scioglie in anticipo. Ancora una volta. È tutto un dare peso alle cose importanti attraverso un percorso di piena distrazione. Attività intellettuali e attività fisiche di natura interessante. Fare, fare per non pensare. Com’è grande questo mare, com’è bello questo mare. Nelle riviste e in musica è un potpourri di melodie armoniose e gonne vanitose, le attrici giocano ad imitare le stelle del passato, il cinema è tutto un bis-tris rivisitazione misto rivoluzione. Qui si è tutti come struzzi che nascondono la testa e guardano indietro. Paura del futuro? Forse il futuro di ognuno è da cercare nel proprio passato, diceva qualcuno. Le donne giocano a vestirsi da dive degli anni Cinquanta, ma ad essere ragazze dei Duemila. Saltiamo pasti, saltiamo appuntamenti, saltiamo di letto in letto. Indipendentiste fino al midollo, alcune -quelle che si credono/sono intelligenti- gatte morte belle da far svenire tutti i padri di famiglia del condominio, altre -quelle più furbe/fortunate-. Ci infiliamo ed incastriamo in effluvi di personalità che spariscono con il vento, ci costruiamo, ci addobbiamo tra gli scaffali dei negozi e ci spogliamo. Abbiamo due regole: farci desiderare e poi toglierci il reggiseno. Forse tre: dirvi che se ci togliamo il reggiseno poi non significa che non abbiamo qualcosa di interessante da raccontarvi, è che siamo intelligenti e vi veniamo incontro. E poi torniamo a farvi notare quel nostro bellissimo reggiseno di marca. Abbiamo questa capacità, di parlare di vestiti per ore, di parlare di scarpe per ore, di parlare e basta per ore. È tutta una giostra e una menzogna che ci fa inciampare per l’ennesima volta nell’inganno del sogno. Principesse e mondo incantato di sorrisi e carezze. Sogniamo famiglie e amori di una vita. E rimaniamo incastrate. Perché l’amore non è quello dei sogni, ma ha i denti, i denti mordono, e i morsi non guariscono mai. Cinismo a manciate come noccioline e riflessioni domenicali di una ragazzina intraprendente che si rende conto che cresciamo nelle 18/20 ore delle nostre giornate e non nelle 4/6 ore in cui sogniamo. È arrivata l’ora dell’aperitivo, continuiamo a distrarci.

sabato 3 marzo 2012

giovedì 1 marzo 2012

 
  
  Nove34 team cerca storie. Anche nel naso.

# divertirsi al lavoro
# Nove34 new face on fb
# creatività by quel geniaccio del nostro grafico


    

  

Imprevisti e passi di lato.



Avete presente quando quello che avete dentro è troppo per essere affrontato dalle persone che avete attorno? Ne parlavo con la mia amica, stasera, lei con la A maiuscola, e in quella sera che arriva ogni quattro anni. Anni bisestili che portano rischiarate di cervella. E progetti su progetti. Quello che nascondi lì nel profondo, dicevamo. E lo proteggi, cazzo si se lo proteggi, perché fa male anche a te sentirlo uscire. Poi esce, ed esce sempre con la persona giusta, mai a caso o quando vuole. Lo sembra, ma anche se non lo sai, è sempre il momento giusto. Il problema è sempre quello che si porta dietro. Meglio, causa. Crolli. C’erano specchi rotti ovunque, e tagliavano come lame. E torni a proteggerlo, a nasconderlo. È troppo, troppo e basta per essere definito e affrontato. Quel troppo sei tu e riuscirà di nuovo. Perché, vedete, è la stessa logica dei fiumi di parole. Poi si impara anche a star zitti. Fiume di parole che sono il condimento per coprire il sapore vero. Quel sapore però è pieno, forte di un talmente che poi non potrai farne a meno. E allora preferisci non abituartici, per poi farne i conti. Le bugie servono signori, le apparenze, gli inganni e i disinganni. Serve tutto. È una giostra, sono i giochi dei maghi, sono acquari di acqua torbida, è un’alba con la foschia di novembre. È Vivaldi, semplice, no? E poi anche il tuo bel culo serve. Quello bello da guardare, intendo. Raccontarsi le balle, quelle da oscar, quelle davanti allo specchio del bagno quando torni e sei troppo ubriaco per sentire anche la tua voce che parla alle tue stesse orecchie. Anche quelle. Perché occuparsi di un mondo che va storto se è questa una vita di imprevisti? Potrei raccontarvi storie di uomini e di mondi ma oggi tutto è nero e tutto attorcigliato. Cosa vuoi che ti dica? Che ero innamorata come una ragazzina che s’innamora a sedici anni. E tutti, seppur a nostro malgrado, sappiamo cosa vuol dire. Quando è A con la maiuscola. Niente sogni per voi, niente favole della buonanotte. Solo testate al muro per smettere di usare il cervello. Stasera solo imprevisti e passi di lato. C’è tempo domani per tornare ad essere principesse.